Milano, revocati i buoni spesa a chi vive in alloggi precari o in strutture di accoglienza

A 253 famiglie sono stati revocati i buoni spesa proprio mentre venivano consegnati. Perché non vivevano in alloggi in affitto o con un mutuo ancora attivo. Di fatto sono stati esclusi i più poveri. Associazioni e terzo settore hanno protestato, ma non pubblicamente

Milano, revocati i buoni spesa a chi vive in alloggi precari o in strutture di accoglienza

I buoni spesa dovrebbero essere destinati ai “nuclei familiari più esposti agli effetti economici derivanti dall’emergenza epidemiologica da virus Covid-19 e tra quelli in stato di bisogno”, come prevede l'Ordinanza della Protezione civile del 29 marzo scorso e per i quali sono stati stanziati complessivamente 413 milioni di euro. Però il Comune di Milano (al quale sono stati destinati 5,8 milioni di euro) fa un paio di distinguo: oltre che povere queste famiglie devono essere, infatti, residenti e avere una casa di proprietà con mutuo ancora attivo oppure abitare in un appartamento in affitto. Il risultato, di questi ulteriori criteri di selezione introdotti da Palazzo Marino, è che sono esclusi coloro che vivono nei campi rom, chi è ospite in strutture come parrocchie o centri di accoglienza o occupano abusivamente case popolari. Insomma, una bella fetta dei poveri di Milano. E infatti dalla graduatoria delle 13.475 famiglie alle quali il Comune aveva assegnato nei giorni scorsi il buono spesa, ne sono state cancellate 253: 102 perché sono occupanti abusivi di alloggi erp sia in stabili di Aler che del Comune, 103 residenti in “strutture collettive collegate ai luoghi di culto” e 48 titolari di residenza fittizia (di solito si tratta di persona senza dimora). 

Si tratta di revoche dei buoni spesa decise durante la loro consegna da parte degli agenti della Polizia Locale, come viene spiegato nella determina 2970 del 30 aprile 2020, firmata dal direttore dell'assessorato alla Politiche Sociali. In questi giorni all'assessore Rabaiotti e ai suoi funzionari sono arrivate le proteste di diverse realtà del terzo settore che si occupano di rom, senza dimora e famiglie in difficoltà. Ma per ora nessuna ha voluto protestare pubblicamente per un'esclusione dai buoni spesa di persone che già prima dell'emergenza Covid-19 vivevano situazioni di disagio e che con la pandemia si sono ulteriormente impoverite.  Altre città hanno deciso di adottare criteri meno discriminatori. Per esempio, i Comuni di Bologna e Roma nei loro bandi si limitano a porre criteri legati al reddito e prevedono che i buoni spesi siano destinati anche a chi ha solo il domicilio o ai “cittadini non residenti impossibilitati a raggiungere il proprio luogo di residenza”. Perché i buoni spesa servono appunto a chi non è più in grado di comprarsi da mangiare. E forse dovrebbe essere solo questo il criterio.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)