Nella "La Casa delle luci" si usa la Lis anche se si ha un buon udito

La Casa delle luci è un progetto sperimentale di residenzialità e non solo, che offre laboratori di lingua dei segni, attività di socializzazione, week-end e soggiorni per l’autonomia di giovani con disabilità comunicative, anche multiple

Nella "La Casa delle luci" si usa la Lis anche se si ha un buon udito

Quando Bianca ha iniziato a frequentare la struttura, faceva fatica anche a entrare in una stanza. L’operatore la prendeva per mano, la accompagnava a sedersi e poi restava in piedi, accanto al termosifone, per rassicurarla con la sua presenza. Quattro anni dopo è Bianca a trainare i compagni nei laboratori di gruppo. A raccontarlo è Davide Bernardi, direttore generale della Fondazione La Casa delle luci, un progetto sperimentale di residenzialità nato a Roma all’interno dello storico Istituto statale per sordi. L’obiettivo è accompagnare i ragazzi con disabilità comunicative, anche multiple, in una dimensione nuova – parallela a quella della famiglia – sostenendoli nella comunicazione e affiancandoli nel raggiungimento della vita in autonomia.

"La Casa delle luci nasce nel settembre 2018, dopo un’esperienza di tanti anni di realtà cooperative e associazioni che si sono sempre occupate della nicchia delle nicchie: ragazzi non solo sordi, ma con pluridisabilità. Alcuni dei nostri utenti, infatti, hanno la sindrome di Down o disturbi dello spettro autistico - spiega Bernardi -. Questi ragazzi utilizzano tutti la lingua dei segni. Noi lavoriamo sul loro percorso di crescita per raggiungere quello che in gergo si chiama il dopo di noi".
La fondazione nasce, infatti, dall’idea di due genitori per dare una possibilità di autonomia ai ragazzi fuori dalla famiglia. "Vogliamo costruire dei gruppi appartamento in cui le persone possano vivere in maniera dignitosa. Spesso le persone che, oltre a essere sorde, hanno qualche altra problematica fisica o psichica, finiscono in un centro dove gli stessi operatori non comunicano in lingua dei segni", aggiunge. "E così si isolano, non comunicano, non fanno alcun avanzamento. Noi ci occupiamo, invece, di permettere loro di avere una quotidianità, di andare a fare la spesa, di decidere cosa mangiare, di riuscire a spostarsi. In sintesi, di vivere".

L’équipe della Casa delle luci è composta da una neuropsichiatra, una psicologa e psicoterapeuta sistemico-relazionale e da una logopedista specializzata nella riabilitazione bilingue (Lis/italiano), che si occupano della presa in carico e dello sviluppo del progetto di autonomia individualizzato. Ci sono poi gli operatori – un oss qualificato, sei assistenti alla comunicazione, tre educatori sordi – che affiancano i ragazzi nelle attività e nei momenti di residenzialità, più lo staff di direzione che si occupa di coordinamento, fundraising e comunicazione.

Tante e diverse sono le attività proposte, tra cui una scuola di karting per imparare ad andare in go kart. Ci sono poi i laboratori “LISguistici” in cui operatori specializzati, sordi e udenti, con un’esperienza pluriennale sulle disabilità comunicative, organizzano incontri linguistici, artistici, di drammatizzazione e racconto utilizzando la lingua dei segni italiana. "Durante i laboratori, che realizziamo in sede, affrontiamo diverse tematiche, spesso di attualità. In questi mesi abbiamo parlato della pandemia e della guerra in Ucraina - continua il direttore -. Solitamente facciamo due gruppi con livelli cognitivi omogenei: i ragazzi però sono uno diverso dall’altro, hanno disabilità e quadri clinici diversi. Guardiamo filmati e documentari, affrontiamo vari argomenti di cronaca. Tutto questo serve a implementare le competenze di comunicazione e a imparare nuove parole".

Tra i partecipanti ai laboratori ci sono anche ragazzi udenti, proprio come Bianca, che sente ma non parla a causa di una malattia genetica rara, la fenilchetonuria. Nel fine settimana, poi, c’è la “scuola di autonomia”: week-end (venerdì, sabato e domenica) ad Albano Laziale, una cittadina vicino Roma, dove la fondazione ha in affitto una villa. "La prima volta che abbiamo inserito Bianca nel calendario dei fine settimana in autonomia la mamma ci ha detto che era veramente stupita, per lei era pura gioia sapere che avrebbe passato tre giorni insieme agli amici, la prima volta da sola", ricorda Bernardi. "Da quando ha iniziato questo percorso lei, come gli altri ragazzi, interagisce di più, si sente più indipendente, si prepara da sola le cose, si lava da sola, rifà il letto al mattino. Quando i genitori ci dicono così, per noi è un importante riconoscimento e un arricchimento. La ragazza all’inizio aveva continue crisi di pianto, ora ha fatto passi in avanti enormi, riesce a interagire ed è più serena".
Tra i progetti c’è anche “Piccole luci crescono”, per i bambini dai sei ai dodici anni. Nel medio periodo la fondazione intende far partire le prime residenze in gruppi appartamento, con i ragazzi che in questi anni hanno frequentato le attività e che sono pronti a sperimentare la coabitazione in autonomia. L’obiettivo finale è arrivare a una vita quotidiana indipendente.

(Articolo tratto dal numero di agosto-settembre di SuperAbile INAIL, il mensile dell’Inail sui temi della disabilità)

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)