Neurodiversità, Fabrizio Acanfora: “Ma che fatica vivere di musica”

Ha sperimentato sulla sua pelle le difficoltà del conservatorio per chi è autistico, seppur ad alto funzionamento. Oggi il suo sogno è renderlo accessibile a tutti, formando insegnanti musicisti che sappiano accogliere e sostenere ogni tipo di disabilità

Neurodiversità, Fabrizio Acanfora: “Ma che fatica vivere di musica”

“È stato il periodo più faticoso della mia vita”: così Fabrizio Acanfora ricorda gli anni del conservatorio. Alla fine il diploma in pianoforte l’ha preso, ma le difficoltà che ha vissuto non le dimentica. Quell’autismo ad alto funzionamento, diagnosticato a 39 anni, ha reso tutto il suo percorso scolastico e musicale una vera impresa. Sarà stato il metodo, che era uguale per tutti, ma che per lui non andava bene; saranno stati gli insegnanti, che non erano in grado di comprendere e sostenere la sua diversità; saranno stati anche i compagni, per i quali era quello “strano”, asociale: fatto sta che Fabrizio in quegli anni ha sofferto e faticato. E oggi vorrebbe evitare, a chi intraprende lo stesso percorso, quelle fatiche e quelle sofferenze. Perché Acanfora crede nella musica e sa quanto possa fare bene, soprattutto a chi è fragile. Tanto che oggi coordina il master in Musicoterapia all’Università di Barcellona, collabora con l’Istituto catalano di musicoterapia e ha contribuito a creare, presso la Lumsa, il primo master italiano per Tutor accademico specializzato in didattica musicale inclusiva. Ha scritto anche alcuni libri, l’ultimo dei quali – In altre parole. Diario minimo di diversità – è uscito il 24 marzo scorso.

Qual è stata, e com’è stata, la sua “storia” con la musica?
Una storia travagliata. Mi sono diplomato in pianoforte al conservatorio, poi sono andato a studiare clavicembalo in Olanda. Ho fatto il musicista per diversi anni, ma ho dovuto smettere perché la vita dei concerti mi stressava, costringendomi ad abbandonare le mie routine. Allora ho iniziato a costruire clavicembali: mi piaceva, sentivo quell’attività più adatta alle mie esigenze e ho aperto un mio laboratorio. La musica è la cosa che, fin da bambino, ha riempito di più la mia vita. Ma ci sono state tante difficoltà.

Difficoltà dovute a cosa?
Inizialmente non lo capivo: c’era qualcosa che non andava e i miei genitori se ne erano resi conto. Non avevo amici, ero sempre solo, preferibilmente chiuso nella mia stanza. A 15 anni mi hanno fatto fare un controllo, ma allora di autismo ad alto funzionamento non si parlava proprio, esisteva solo l’autismo “grave”. È stata ipotizzata una depressione. Con l’età adulta, però, i problemi si sono ingranditi: le aspettative della società e le responsabilità aumentavano, insieme alle mie difficoltà. Solo nel 2014 è arrivata la diagnosi: sindrome di Asperger. Avevo 39 anni e finalmente potevo dare una spiegazione ai problemi che avevo sempre avuto, specialmente in conservatorio.

Bisogna dare una possibilità soprattutto agli esclusi e alle persone più fragili

Quali in particolare?
Difficoltà di tipo sociale, nell’interazione con i compagni: non avendo ancora una diagnosi, ero considerato uno strano, isolato, asociale, con la puzza sotto al naso. Ma c’erano anche difficoltà dal punto di vista didattico: interagire con l’insegnante davanti ad altri, per esempio, per me era una tortura. E poi ho avuto problemi con la lettura della musica: perché i disturbi dell’apprendimento esistono anche nella musica. E una persona autistica può avere canali di apprendimento diversi. Per me, per esempio, è sempre stato più facile apprendere la musica ascoltandola, piuttosto che leggendola; oppure guardando il modo in cui viene eseguita. Ma questo non era previsto, non era compreso, non c’era modo di adeguare la didattica alle mie esigenze: non avevo ancora una diagnosi, ma anche se l’avessi avuta, percorsi personalizzati non erano e non sono previsti, all’interno del conservatorio. Avevo tanta passione, ma facevo una gran fatica: alla fine ce l’ho fatta, ma studiavo otto ore al giorno e anche di più. Quando poi sono passato al clavicembalo, ho iniziato a fare quello che si chiama il “basso continuo”, per cui bisogna improvvisare l’armonia. Ecco, questo mi riusciva estremamente facile, riuscivo a farlo istantaneamente. Allora ho capito che, se mi fosse stata offerta la possibilità di apprendere con modalità diverse, tutto sarebbe stato più semplice e più bello. E mi sarei risparmiato tante difficoltà.

È per questo che ha deciso di impegnarsi per evitare che altri vivano lo stesso incubo?
Sì, per questo ma anche per caso. Nel 2019 sono andato a Roma a ritirare il premio Divulgazione scientifica, che mi ero aggiudicato con il mio libro Eccentrico. Autismo e Asperger in un saggio autobiografico. Lo stesso giorno, sono stato invitato a una conferenza in cui si parlava di inclusione nell’alta formazione artistica. Lì ho conosciuto gli organizzatori, che mi hanno coinvolto nel lavoro che stavano facendo. Ho capito allora che potevo dare una mano, grazie alla mia esperienza. È nata così l’idea di creare una figura che potesse accompagnare gli studenti con diverse disabilità nel percorso formativo del conservatorio: il tutor accademico specializzato in didattica musicale inclusiva. In un anno siamo riusciti a far partire il master alla Lumsa, che è iniziato a febbraio scorso. L’obiettivo è fornire ai musicisti iscritti una serie di competenze che permettano di capire cosa sia la disabilità e soprattutto di guardarla come una possibilità. Abbiamo strutturato un percorso che prima di tutto apra la mente e poi fornisca strumenti operativi.

Non è facile però insegnare la musica a chi ha una disabilità, magari di tipo uditivo...
Non è facile, ma non è impossibile: io sono sicuro che tutti possano fare musica e che a tutti dovrebbe essere offerta la possibilità di farla. Soprattutto chi ha una fragilità, può trarne grande beneficio. Anche un sordo può suonare, Beethoven lo ha dimostrato. La musica è uno strumento importantissimo per le persone che vengono socialmente escluse: è uno strumento inclusivo potentissimo, che fa accrescere l’autostima e conquistare abilità. Chi ha problemi di coordinazione motoria o una paralisi cerebrale potrebbe, tramite la musica, migliorare proprio queste capacità, per esempio imparare a soffiare. La musica può, insomma, essere veicolo per acquisire competenze in modo meno noioso: bisognerebbe valorizzare di più questo suo potere, anche nella scuola di base. Ma servono musicisti e insegnanti di musica capaci di aprire la loro mente e intraprendere questo cammino: e io li voglio accompagnare.

(L’intervista è tratta dal numero di aprile di SuperAbile INAIL, il magazine dell’Inail sui temi della disabilità)

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)