Nidi in famiglia, piccoli gruppi, asili nel bosco o co-progettati: quando la scuola non è a scuola

Istruire senza mandare i figli a scuola. Complice l’emergenza sanitaria, anche a Bologna sono sempre di più i genitori che, ai percorsi consolidati preferiscono esperienze “alternative”, alcune promosse dal comune, altre fuori dai circuiti istituzionali. Le storie di Chiara, Caterina e Lea

Nidi in famiglia, piccoli gruppi, asili nel bosco o co-progettati: quando la scuola non è a scuola

Scegliere, per una svariata serie di motivi, di istruire i figli senza mandarli alla “scuola” comunemente intesa. A Bologna le possibilità sono diverse, soprattutto se si guarda alla fascia 0-3. Ancora non è dato sapere se l’emergenza sanitaria in corso segnerà un’impennata delle richieste, ma basta un giro sui social – magari sui gruppi che di scuola e istruzione si occupano –, per accorgersi che sempre più genitori decidono di informarsi su questa opportunità.

Una di queste opzioni è il progetto comunale Educare in famiglia, rivolto alle famiglie con bambini in età compresa fra i 6 e i 36 mesi residenti nel Comune di Bologna. Prevede che un educatore qualificato operi al domicilio dei bambini: il servizio si basa sull’auto-organizzazione delle famiglie che, riunite a gruppi di tre, decidono di affidare collettivamente la custodia e la cura dei propri figli a un educatore qualificato per un massimo di 40 ore settimanale (e un minimo di 20, di cui una per attività di formazione del personale e organizzazione del servizio) articolate secondo specifiche esigenze. L’affidamento del servizio all’educatore viene svolto presso una delle abitazioni delle famiglie in forza di una scrittura privata tra le famiglie “committenti” e l’educatore (l’educatore è assunto con il contratto di collaborazione domestica, livello D). Per chi sceglie questo servizio è previsto un contributo comunale. Tra chi ha deciso di aderire a questo progetto, Chiara, mamma di un bambino di 16 mesi. “La nostra è una scelta obbligata – spiega –. Il nostro bambino non è vaccinato, non possiamo iscriverlo ai nidi comunali o privati. In questo progetto non c’è quest’obbligo, ma il Comune chiede chiarezza per evitare fraintendimenti tra famiglie. Ci sarebbe piaciuto inserirlo in un contesto di ancora maggiore condivisione e socialità, ma sappiamo di poter contare su un ottimo servizio”. Chiara ha cercato altre due famiglie con esigenze simili e, dopo svariati incontri e confronti, si è formato il gruppo di bimbi. C’è il bimbo di Chiara di 16 mesi, uno di 19 e il più piccolo di 10. “L’uniformità di età è a discrezione di genitori ed educatore – spiega Chiara –. Certo se c’è molta differenza può complicarsi la gestione. Nel nostro gruppo il bimbo di 10 mesi non cammina, ma sta imparando a mettersi in piedi. Sicuramente i due più grandi, che non fanno altro che correre, per lui sono uno stimolo. E i grandi imparano a prendersi cura di lui”. Una volta individuato il gruppo, è stata selezionata un’educatrice: “Abbiamo cercato quella più adeguata alle nostre esigenze, aspetto che di solito non è possibile in una scuola statale. Quella che abbiamo scelto ci ha colpito perché, alla domanda: ‘che valori vuoi trasmettere ai bambini?’ ha risposto ‘la libertà’. Ci siamo emozionati. Ci ha spiegato che non intende imporre determinate modalità d’insegnamento, ma stare più in disparte possibile e fermarsi a osservare. È una grande sostenitrice dell’outdoor, inteso anche come ambiente urbano. Porterà i bimbi in giro per la città, in modo da far capire loro rischi e opportunità”. In un nido in casa – così viene anche chiamato questo progetto – il rapporto educatrice bimbi, dunque, è 1 a 3 e non 1 a 5 come nei nidi comunali e, come detto, il Comune offre un rimborso. “Con le altre mamme ci siamo subito trovate in linea. Ci siamo viste e conosciute, abbiamo visto le nostre case e insieme abbiamo deciso quella più adeguata – anche in base alle esigenze familiari – per accogliere i bimbi”. I papà hanno messo a posto il giardino per consentire le attività all’aperto, all’interno è stata individuata la zona per la nanna. E per il pranzo? “L’educatrice non può cucinare, solo riscaldare. Cuciniamo a rotazione per tutti i bimbi”. Si parte lunedì 14, gli orari si decidono insieme: “Noi facciamo dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 16”. Già l’hanno scorso il bimbo di Chiara frequentava questo progetto. Che è successo durante il lockdown? “Le direttive ci permettevano di andare avanti, la scelta avrebbe dovuto essere dei genitori e dell’educatrice. Lì c’è stata una rottura nel nostro gruppo: noi volevamo andare avanti, le altre due famiglie no, per nessun motivo. Sono stati momenti difficili. Questa volta abbiamo messo le mani avanti: in caso di nuovo lockdown, siamo d’accordo tutti e tre: andiamo avanti”.

Anche per Caterina, mamma di una bimba di quasi due anni, l’idea di partenza era quella del nido in casa. “Per noi sarebbe stata la soluzione ottimale. Pochi bambini e molta flessibilità. Mia figlia ha frequentato solo qualche mese di nido prima d’ora, inserirla proprio in questo momento ci sembrava rischioso. Purtroppo non abbiamo trovato soluzioni che incontrassero le nostre esigenze, così abbiamo optato per un pge”. I piccoli gruppi educativi sono servizi educativi comunali per la prima infanzia (0-3 anni). Accolgono fino a un massimo di 8 bambini di età eterogenea presso abitazioni private, strutture dedicate o luoghi di lavoro e il personale è composto da un educatore affiancato da un operatore di supporto. Il servizio è coordinato da un pedagogista. Il funzionamento è di 40 ore settimanali (con possibilità di orario prolungato) per 10/11 mesi annui. “La flessibilità per noi è fondamentale. La mia bambina farà 11-18, una possibilità che nei nidi comunali è esclusa, perché le attività si concentrano la mattina. Io lavoro da mezzogiorno fino a sera, desideravo evitare di portare mia figlia a scuola entro le 9, proprio perché almeno fino alle 11 posso stare con lei. Così piccoli, penso che il rapporto con i genitori sia sempre da incentivare. Quanto all’emergenza sanitaria, ci hanno che misureranno quotidianamente la temperatura, useranno tutti i dpi necessari, igienizzeranno i giochi. Lì mangiano – si appoggiano su un’azienda di ristorazione – e dormono. Purtroppo non potranno fare tutte le attività che erano soliti proporre, come la piscina, proprio causa Covid”. I primi inserimenti sono cominciati il primo settembre, vengono inseriti 3 bambini a settimana. “Presto toccherà a noi. Siamo pronti”.

Fin qui, le esperienze comunali. Fuori dai circuiti istituzionali, le alternative non mancano. “Quando hanno chiuso le scuole, a febbraio, ci siamo auto-organizzati come genitori e abbiamo fatto una piccola ‘scuolina’. Quando non è più stato possibile muoversi abbiamo continuato in maniera assolutamente informale a casa nostra con altri figli di amiche, e siamo sopravvissute stando insieme”. A parlare è Lea, mamma di due bimbi di 3 e di 4 anni. “Qualche anno fa ci è stato spiegato dalle scuole a cui erano iscritti come sarebbe stato gestito questo nuovo anno scolastico, ma non ci hanno minimamente convinto. Abbiamo rilevato estrema incertezza e pochissime comunicazione e cura, così li abbiamo ritirati. Lunedì cominciano in una scuola steineriana”. Si tratta di una scuola parentale gestita da un’associazione formata principalmente da genitori che nella vita sono anche educatori, insegnanti, operai, tecnici, filosofi, economisti, artisti. “Si tratta di realtà poco note, che ancora oggi non tutti possono permettersi. Ci hanno assicurato che i nostri figli staranno il più possibili separati, elemento discrimine per noi: nella scuola pubblica, invece, anche per ‘comodità’ derivante dalla normativa sanitaria, sarebbero stati sempre insieme. La grande, in questo modo, non avrebbe potuto fare un’esperienza completa, ma sarebbe stata costretta a prendersi sempre cura del fratello”.

E poi ci sono gli asili del bosco, spesso descritti come “scuole dell’infanzia senza tetto né pareti”, nati, nella maggior parte dei casi, per iniziativa di genitori, educatori, associazioni o privati. Sempre tastando il polso social, quest’anno hanno fatto registrare un forte incremento. Ci sono anche le scuole libertarie (a Bologna ce n’è solo una), basate sull’idea che le decisioni devono essere prese con la partecipazione di tutti: ogni aspetto della vita scolastica, infatti, viene concordato tra docenti e allievi. Per quanto è dato sapere al momento, sebbene già ampiamente consolidati in epoca pre-Covid, questi percorsi “alternativi”, complici la rigidità dei protocolli e l’incertezza diffusa che caratterizzano la scuola pubblica, stanno prendendo sempre più piede.

Ambra Notari

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)