Padova Capitale europea del volontariato. È tempo di bilanci: “Le relazioni fanno la differenza”

Un anno "difficile da dimenticare" tra progetti innovativi e collaborazioni con mondi "nuovi", ma ora si guarda al 2021. Alecci, presidente del Csv di Padova: “Nei prossimi mesi, quando non ci sarà più il blocco dei licenziamenti, sulla coesione sociale il nostro paese rischia grosso. Sul tavolo dove si programmano gli interventi ci vogliamo essere”

Padova Capitale europea del volontariato. È tempo di bilanci: “Le relazioni fanno la differenza”

“Sarà un anno che faremo fatica a dimenticare perché abbiamo imparato quanto sia prezioso il volontariato e quanto riesca ad educare mondi che sembrano lontani. Abbiamo imparato a lavorare insieme e abbiamo capito che le relazioni fanno sempre la differenza”. Sono passate quasi due settimane dalla cerimonia conclusiva di Padova Capitale europea del volontariato 2020 - con relativo passaggio di consegne a Berlino, la capitale del 2021, e la nomina di Danzica a capitale del 2022 - e per Emanuele Alecci, presidente del Csv di Padova, è tempo di tracciare un primo bilancio di questa esperienza. Padova è stata la prima città italiana ad aver ottenuto questo riconoscimento e, in un momento storico segnato dal Covid-19 e in piena riforma del terzo settore, con ogni probabilità, la città continuerà ad elaborare quanto pensato, programmato e fatto ancora per qualche tempo. Continuerà a farlo sia perché la pandemia ha stravolto i programmi dei volontari, ma soprattutto perché in questo 2020 la città si è riscoperta come un cantiere a cielo aperto che avrà bisogno ancora di qualche mese per tirare le somme di un’esperienza intensa che ha visto lavorare fianco a fianco associazioni e istituzioni non solo per rispondere all’emergenza, ma anche per ripensare una città a misura di tutti. Ad augurarsi “una stagione di crescita collettiva italiana” durante i mesi di Padova Capitale europea del volontariato è stato proprio il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo discorso alla cerimonia inaugurale di febbraio. Un lungo intervento che in qualche modo ha anticipato tempi difficili per l’Italia - e il mondo intero - inimmaginabili in quei primi giorni di febbraio. Ma la risposta del volontariato non si è fatta attendere. “Quando tutto è iniziato, con l’inaugurazione alla presenza del presidente Mattarella - racconta Cristina Piva, assessora al volontariato della città di Padova -, sembrava un momento che dava prospettive di elaborazione, lavoro e studio sul volontariato. Dopo venti giorni, invece, ci siamo dovuti confrontare con una situazione che non avevamo mai visto. Padova si è trovata con necessità alle quali bisognava dare risposte immediate e se non avessimo avuto un volontariato già preparato ci saremmo trovati in grave difficoltà”.  A confermare la vocazione alla solidarietà di Padova, gli oltre mille “nuovi” volontari coinvolti proprio durante il lockdown, ma l’emergenza ha mostrato anche un nuovo volto della città. “Ci siamo accorti di molte solitudini - spiega Piva -, nuove povertà che si sommavano a quelle che già esistevano e ci siamo rimessi in gioco un’altra volta”. E sono proprio i due progetti attivati per rispondere all’emergenza sociale e sanitaria dovuta al Covid-19 che forse, più di altri, lasceranno un segno nella città: con “Per Padova noi ci siamo” e “Per Padova noi ci siamo ancora” (quest’ultimo attivato durante la seconda ondata della pandemia), infatti, la città ha sperimentato un’inedita e intensa collaborazione tra amministrazione comunale, diocesi e volontariato. “L’amministrazione non deve essere sostituita dal volontariato e il volontariato non deve essere la stampella dell’amministrazione - aggiunge l’assessora Piva -. L’amministrazione arriva alla categoria delle persone, ma il volontariato arriva alla persona con un nome, un cognome e una storia e questo passaggio è quello che dà dignità all’incontro e alla relazione. Durante il lockdown abbiamo lavorato a stretto contatto e tutto questo ci ha permesso di intervenire a 360 gradi: un modo di lavorare che ci ha fatto risparmiare forze e essere più vicini alla gente”. L’emergenza, tuttavia, non ha frenato la spinta all’innovazione che a Padova ha coinvolto anche l’intera comunità attraverso l’istituzione di tavoli tematici, il cui lavoro non è ancora finito ma continuerà anche nel 2021. Anno in cui, inoltre, arriverà a compimento anche il lavoro di riflessione sulla Carta dei valori del volontariato, avviata proprio durante il 2020. Una cosa è certa: l’esperienza di Padova Capitale europea del volontariato non terminerà con il prossimo 31 dicembre. “Forse dico una cosa esagerata - spiega Alecci -, ma per molti versi questo momento che stiamo vivendo è molto simile, sebbene con condizioni diverse, a quelle del ’75, quando le forze interessanti del nuovo volontariato si incontrarono a cappella Cangiani a Napoli. Non c’era neanche internet, ma da quel momento lì nacque il nuovo volontariato italiano. Oggi ci sono moltissime esperienze innovative di solidarietà che stanno avviando percorsi nuovi, di nuova economia, di nuove forme di prossimità - aggiunge Alecci -. Sarebbe bello se questi mondi riuscissero a trovare un momento per incontrarsi, perché se queste forme innovative riuscissero a riflettere insieme, si potrebbe dare una grande mano anche a questo Paese che deve trovare una strada. Il lavoro sulla carta dei valori sta andando avanti e anche questo sarà un momento in cui approfondiremo le grandi questioni del volontariato. Il tema oggi non è andare a ricostruire o ripercorrere strade vecchie: bisogna fare il nuovo”. E il volontariato di Padova, in questi mesi, ci ha provato ad imboccare una strada nuova. “C’è stato un lavoro molto importante fatto nel 2019 che ci ha portato a concretizzare un rapporto non di semplice sostegno economico, ma un rapporto serio con associazioni di categoria, imprese, sindacati e mondi che potrebbero sembrare lontani ma con cui abbiamo trovato modalità di lavorare insieme, anche per rapportarci con la pubblica amministrazione - aggiunge Alecci -.Oggi dobbiamo far crescere il rapporto tra i nostri mondi nella logica di contribuire ad un futuro nuovo. Finalmente è chiara l’uscita di sicurezza che dobbiamo costruire. Per capire come farlo e farlo in tutta Italia bisogna che ci si incontri per portare a patrimonio tutto quello che abbiamo fatto uscire nel periodo più duro del primo lockdown”.  Che l’esperienza di Padova Capitale europea sia capitata al momento giusto ne è convinto anche Marco Ferrero, portavoce del Forum del terzo settore veneto. “Il fatto che per la prima volta una città italiana sia diventata capitale europea del volontariato proprio negli anni cruciali della riforma del terzo settore secondo me da un lato è provvidenziale, ma sicuramente significativo -afferma Ferrero -. Ci ha imposto una rinnovata riflessione rispetto al ruolo del volontariato per la società italiana e ci consente di affrontare il 2021, che sarà molto complicato e difficile, con il coraggio di sapere che il volontariato in Italia, non solo in Veneto e a Padova, si è rafforzato negli anni, anche se non senza qualche contraddizione come per tutti i fenomeni complessi”. Un volontariato che per Ferrero “ha deciso da che parte stare: se da un lato c’è tanto volontariato di prossimità, spesso spontaneo e inevitabilmente non troppo strutturato, dall’altra parte il volontariato ormai è fatto di grandi reti associative molto strutturate che hanno imboccato in maniera decisa la strada dello stare dentro al terzo settore”. E per Ferrero non si tratta di una “banalità”: “Sappiano che le tentazioni di costruire un quarto settore sono sempre presenti - aggiunge il portavoce del Forum veneto -, mentre secondo noi del Forum del Veneto, il volontariato è consapevole di avere una grande responsabilità perché mai come adesso è l’elemento ontologico che dà senso a tutta l’esperienza del terzo settore”. Occhi puntati sul 2021, quindi, per capire se il lavoro fatto durante questi mesi porterà dei frutti non solo nella città di Padova, ma per il volontariato di tutta Italia. “Nei prossimi mesi, quando non ci sarà più il blocco dei licenziamenti, sul piano della coesione sociale il nostro paese rischia grosso - afferma Alecci -. Le forme di intervento di welfare sia pubblico che quello di sostegno che può mettere in pratica il mondo del volontariato devono ricostruire un tessuto di prossimità. E sul tavolo dove si programmano gli interventi ci vogliamo essere. A Padova ci stiamo provando e probabilmente non saremo solo degli invitati, ma vorremmo che questa cosa venisse riproposta anche in altre città. E l’aver posto questa questione potrebbe essere la grande eredità di quello che abbiamo fatto in questo anno”. Per Ferrero, tuttavia, il rischio che la grande collaborazione tra pubblico e privato sociale sperimentata nel 2020 possa concludersi con l’esperienza della Capitale non è poi così remoto. “Il rischio che passato l’anno da Capitale europea si torni indietro c’è - spiega Ferrero -. Tuttavia, il fatto di aver potuto toccare con mano la positività di un’esperienza di collaborazione strutturata, speriamo che sia in qualche modo un promemoria per il futuro, ma siamo tutti consapevoli che nelle dinamiche meno straordinarie e più ordinarie il rischio c’è”.(ga)

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)