Servizio civile all’estero, “siamo come in un limbo, ci sentiamo dei precari”

Sono centinaia i giovani bloccati in Italia da un provvedimento del Dipartimento per le Politiche giovanili e il Servizio Civile Universale del 13 agosto scorso. Un incontro con Maeci ed enti ha avviato un confronto per cercare una soluzione. Tanti anche i ragazzi che, a causa dei progetti bloccati, sono in una situazione ibrida non potendo né lavorare né studiare

Servizio civile all’estero, “siamo come in un limbo, ci sentiamo dei precari”

“Siamo come in un limbo. Ci sentiamo dei precari del servizio civile”. È quanto ci dice Francesco Biondo, giovane volontario siciliano di Caritas Italiana, in procinto di partire il 18 agosto scorso in un progetto di servizio civile all’estero in Guatemala, ma bloccato in Italia come centinaia di suoi colleghi da un provvedimento del Dipartimento per le Politiche giovanili e il Servizio Civile Universale del 13 agosto scorso.

Il Capo Dipartimento Marco De Giorgi ha risposto lo scorso 20 agosto in merito alle problematiche sollevate da molti Enti di servizio civile sul provvedimento, per dichiarare l’intento di “trovare, in accordo con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, una soluzione che permetta ai giovani volontari, anche in un momento così complesso come quello attuale, di vivere l’esperienza straordinaria del Servizio”. Un incontro congiunto tra Dipartimento, MAECI ed enti, svoltosi nella mattina del 26 agosto, ha avviato un confronto e aperto alla possibilità di avvio in 6 Paesi (Ecuador, Perù, Colombia, Kenya, Mozambico ed Etiopia) sui 19 esclusi, ma non ancora risolto la situazione.

Per Biondo però, insieme alla sua collega Stella Regno, l’attesa risulta difficile, anche perché entrambi hanno rinunciato a qualcosa, in alcuni casi anche ad un lavoro certo, per iniziare l’esperienza di servizio civile all’estero. “E’ da marzo 2020 che vivo una situazione paradossale – ci dice ancora il giovane operatore volontario  -. Sono stato selezionato già nello scorso bando per lo stesso progetto Caritas in Guatemala ed ero partito a gennaio 2020, ma poi la pandemia ci ha costretti a rientrare in Italia e ad aspettare fino a settembre, quando è stata decisa la chiusura definitiva del progetto. Ho avuto l’opportunità di ripresentare domanda col nuovo bando ed ora, dopo la vaccinazione anti-Covid, di ripartire come subentrante, fino a questo ennesimo stop. Sono in contatto con i miei amici e colleghi in Guatemala, due volontari dello stesso progetto Caritas infatti sono riusciti a partire a luglio, prima di questo blocco. In questo momento ci dicono che lì la situazione è relativamente sotto controllo, è previsto solo un coprifuoco notturno, ma non sono vietati i viaggi e quindi non capiscono il perché del nostro mancato arrivo”.

“Ho scelto di partire perché volevo vivere questa esperienza di servizio civile – aggiunge Stella Regno -. La notizia che potevo farlo come subentrante ha stravolto un po’ i miei piani per quest’anno: abito e studio a Bologna e ho disdetto l’affitto di casa, ma ora mi ritrovo in questa situazione precaria, senza sapere quanto durerà”. Biondo e Regno in questo momento risultano in servizio in Italia e svolgono attività “in remoto”, ma “non è facile per un progetto che nella realtà ha finalità ambientali ed agricole, e con metà dei volontari a San Marcos in Guatemala e l’altra metà in Italia”, ci dice Diego Cipriani, responsabile del servizio civile di Caritas Italiana.

“Io sono reduce già̀ dall’anno scorso, dovevo iniziare il mio servizio civile a São Paulo in Brasile”, ci dice un’altra volontaria, Valentina Silvestrin, che sarebbe dovuta partire per un progetto con Focsiv nel 2020. “Dovevamo iniziare a marzo ma poi ci hanno detto che avrebbero spostato a giugno. A giugno abbiamo iniziato la formazione e poi ci hanno fermati di nuovo dicendoci che avremo iniziato a settembre, e infine a novembre ci hanno detto che il progetto era cancellato. Insomma alla fine ho perso un anno con stop e start continui che non mi hanno permesso di trovare un nuovo lavoro. Quest’anno io come molti altri ragazzi reduci dall’anno scorso abbiamo fatto di nuovo domanda riponendo fiducia nel servizio civile che dovrebbe valorizzare i giovani, ciò che conoscono e ciò che possono fare per le comunità̀ estere per quei territori che hanno bisogno di sostegno”, aggiunge.
“La cosa strana – prosegue - è che è proprio in quei territori che adesso hanno bisogno di aiuto che non ci vogliono mandare, si va a perdere il senso del servizio civile come cooperazione sociale. Inoltre sono Stati in cui si può̀ andare a lavorare e a studiare, perché́ non dovremmo poter andarci noi volontari? Sembrava andare tutto bene perché́ non ci sono state comunicazioni dal Dipartimento. Tutti noi (siamo 4 ragazzi che devono partire per il Brasile questa volta con Cesc-Project) ci siamo mossi per fare il visto, io ho detto al mio datore di lavoro che non ci sarei più̀ stata a partire da settembre, ho disdetto la casa, ho dedicato l’estate a prepararmi per il Brasile, ho fatto un corso di portoghese e non ho cercato altri lavori sapendo che il 16 settembre avrei iniziato il servizio civile. Manca meno di un mese all’inizio e non sappiamo ancora cosa dovrebbe succedere, se iniziamo e se partiremo effettivamente per i paesi di destinazione”.

Nei giorni scorsi è stata anche lanciata su Change.org una petizione online, che ha superato in poche ore il migliaio di firme, per chiedere al Dipartimento di “rivedere al più presto la sua decisione” e permettere ai giovani partire. “Le alternative proposte dal Dipartimento – scrivono i volontari promotori dell’iniziativa -, il lavoro da remoto o il ricollocamento in progetti in Italia o all'estero, non sono praticabili. I diritti dei volontari e delle organizzazioni che hanno preso parte al SCU non possono essere così calpestati”.

“Sappiamo che il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, consultato dal Dipartimento, non intende vietare categoricamente le partenze, ma sconsiglia di recarsi in quei Paesi. Riteniamo importante sottolineare che siamo pienamente consapevoli della scelta che abbiamo preso e siamo coscienti che non ci stiamo recando in questi Paesi per svago e turismo, bensì per promuovere la giustizia sociale e prendere parte a dei progetti approvati dallo stesso Dipartimento”, aggiungono.

“Vogliamo credere nelle Istituzioni, nel Dipartimento e nell’istituto del Servizio Civile. Ancora pensiamo che aver rinunciato alle nostre vite per un ideale di giustizia sociale e cittadinanza attiva non sia stata una scelta sbagliata, ma da difendere con orgoglio. […] Lasciateci partire e permetteteci di vivere l'esperienza del Servizio civile all'estero, perché abbiamo tanto da dare ma soprattutto tanto da imparare!”, conclude l’appello. (FSp)

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)