1916, in fuga dall’Altopiano

In occasione della ricorrenza del 4 novembre la Difesa pubblica il terzo capitolo dell’e-book dedicato alla rilettura della guerra attraverso le pagine del settimanale diocesano e, nello specifico, all’anno 1916.
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1916, in fuga dall’Altopiano

Il 1916 è un anno contrassegnato, per quanto riguarda il fronte italiano, dal difficile contenimento della “spedizione punitiva” austriaca (da maggio a giugno) e dall’altrettanto sofferta conquista italiana della città di Gorizia, l’8 agosto
Due fatti che portarono da un lato alla prima invasione di territorio italiano da parte delle truppe austroungariche e dall’altro alla prima “tangibile” vittoria delle armi italiche.

La Difesa dedica un titolo a tutta pagina alla conquista di Gorizia, ma il suo contributo più originale, sulla scia di quanto stava facendo e farà il vescovo Pellizzo e la diocesi, lo darà nell’assistenza ai profughi dell’altopiano dei Sette Comuni, territorio religiosamente padovano a tutti gli effetti, fin dal medioevo
I dati parlano da soli: dal comune di Asiago furono sfollate 7.756 persone, da Lusiana 6.544, da Conco 5.710, da Roana 5.293. In totale dai nove comuni saranno 35.736, a cui si aggiungeranno i 4.113 eneghesi che li seguiranno nel novembre del 1917.
Complessivamente i profughi dell’Alto Vicentino furono 76.338, circa 20 mila famiglie, dapprima spostati in alcuni paesi del Basso Vicentino, ma poi via via nelle altre province venete e infine sparsi per tutte le zone d’Italia, dalla Campania alla Sicilia.
Nonostante l’imponenza del fenomeno, che sarà secondo solo all’altra grande migrazione di popolazioni civili conseguente alla rotta di Caporetto, la stampa non vi diede grande risonanza. Gli aiuti statali tardavano ad arrivare ed erano oltretutto percepiti come privilegi che sottraevano risorse ad altri “poveri di guerra”.
La lingua “cimbra” era assimilata al tedesco e già nel 1915 abbiamo visto che la popolazione dell’Altopiano era accusata di connivenza con il nemico.
Si tramanda un detto, non sappiamo quanto reale, che le mamme usavano per spaventare i bambini: «Sta buono altrimenti ti faccio mangiare dai profughi!».

Il vescovo di Padova. mons. Luigi Pellizzo, non ebbe dubbi nel fare appello alle comunità della pianura perché accogliessero i fratelli profughi, nell’erogare subito i fondi del “Pane dei poveri” per sostenerli nelle prime necessità, nell’indicare ai parroci dell’Altopiano il dovere di seguire le loro comunità cercando per quanto possibile di tenerle unite.
La Difesa pubblicò immediatamente il suo appello e poi continuò per mesi a fornire informazioni e indicazioni. E ad appoggiare il difficile compito di don Giuseppe Rebeschini, incaricato dal vescovo di assistere in tutti i modi possibili la sua gente sfortunata e perseguitata dalle infamanti accuse.

La seconda tragedia che coinvolse la diocesi, questa volta nel suo cuore stesso, la città di Padova, avvenne l’11 novembre 1916, quando un bombardiere austriaco sganciò nei pressi della stazione una bomba che andò a colpire un assembramento di persone davanti al rifugio della Gatta, allagato dalle piogge recenti: 93 morti. Il numero più alto di vittime civili causato da un’incursione aerea. Allora il biasimo per i bombardamenti indiscriminati sulle città fu generale, intervenne anche il papa e per un anno Padova fu risparmiata da altri attacchi aerei.
Poi nel novembre del 1917... Ma di questo parleremo nel prossimo capitolo.

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