Agosto 1916: Gorizia è italiana! Ma nessun trionfalismo

“Le nostre truppe sono entrate a Gorizia. La disfatta degli austriaci. Oltre diecimila prigionieri catturati”: è questo il titolo a tutta pagina della Difesa del popolo del 13 agosto 1916. Ma il settimanale diocesano si sofferma la settimana successiva anche sul costo della guerra per il territorio giuliano (e come non pensare a quello dell’Altopiano?).
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Agosto 1916: Gorizia è italiana! Ma nessun trionfalismo

“Le nostre truppe sono entrate a Gorizia. La disfatta degli austriaci. Oltre diecimila prigionieri catturati”
È questo il titolo a tutta pagina della Difesa del popolo del 13 agosto 1916. Una pagina che è quasi completamente dedicata al bollettino di guerra, supportato dalla “cronaca” del ministro Leonida Bissolati che aveva voluto assistere alla battaglia da uno degli osservatori più avanzati.
Bissolati, detto per inciso, era un socialista moderato, che allo scoppio della guerra si era arruolato come sergente del 4º reggimento alpini, partecipando alla conquista del monte Nero; ferito due volte e decorato di medaglia d’argento, nel giugno del 1916 era entrato come ministro senza portafogli nel gabinetto Boselli con il compito di tenere i collegamenti tra potere politico e comando supremo. Il 29 ottobre, nel più importante dei suoi discorsi del periodo di guerra, Bissolati commemorerà Cesare Battisti polemizzando contro il pacifismo del socialismo italiano.
La presa della città giuliana viene comunque “celebrata” dal settimanale cattolico con la dovuta enfasi e anche il numero successivo dà risalto all’avanzata delle truppe italiane “oltre Gorizia” (che in realtà è rimasta nelle pie intenzioni).
Un trafiletto “tecnico” si sofferma pure sull’efficacia dell’artiglieria italiana, a testimonianza che la lezione della Strafexpedition, quando l’attacco iniziale dell’artiglieria aveva letteralmente “annichilito” i difensori, non era passata invano. Il corrispondente da Zurigo afferma anche che «entrarono in azione nuovi tipi di obici i cui proiettili volavano silenziosi e fischiavano solo nell’ultima parte della traiettoria. Essi avrebbero una grande forza esplosiva. Le difese – prosegue – resistettero fino a tutto lunedì (7 agosto ndr) a questo uragano di fuoco. La fanteria non aveva più ricoveri. Le opere di cemento erano in macerie, le piastre di protezione volavano in pezzi e i sacchi di sabbia non giovavano più e il fuoco dell’artiglieria italiana non diminuiva mai di intensità. Le comunicazioni telefoniche erano state interrotte e spezzate. Il 9 agosto Gorizia fu sgombrata».

Le rovine della guerra
Viene alla mente, per analogia, un articolo pubblicato in prima pagina sette mesi prima, il 9 gennaio di quello stesso anno, in cui si riporta la testimonianza di un giornalista svizzero che era andato a visitare Gorizia: «I proiettili dell’artiglieria hanno provocato danni importanti al castello, colpito gravemente il Corso e via Morelli. Sulla piazza Grande la facciata della chiesa di Sant’Ignazio è stata colpita da un proiettile d’artiglieria dall’altro al basso. Il convento delle Orsoline è per metà distrutto. Il monte Santo ha preso fuoco e la sua chiesa è crollata. La sacrestia della cattedrale è stata crivellata di proiettili; la chiesa di Sant’Antonio, colpita da una bomba, ha pure molto sofferto. La città ha l’aspetto abbandonato, le strade sono vuote. Gorizia non si difende; non è una fortezza, non ha che la cattiva sorte di essere situata nella zona di due combattenti. La sua sorte è degna di pietà!».

Forse è stata questa descrizione, e le immaginabili ulteriori rovine portate da altri sei mesi di guerra, che hanno guidato l’accostamento della presa di Gorizia con le tribolazioni dei profughi dell’Altopiano e, sotto sotto, una nota “umoristica”.
Quando finirà la guerra? si chiede il titoletto. «Non c’è da sperare che il conflitto europeo abbia a cessare tanto presto, perché prima di discutere le condizioni di pace bisogna, secondo l’Asino, che: l’Austria sia sconfitta, i russi prendano Budapest, la Germania abbandoni i territori invasi; il popolo tedesco proclami... la repubblica. Come vedono i lettori, c’è ancora da divertisti per un pezzo».
Intanto, poco più sopra, le “signore per il comitato per la Nuova Italia”, invece di fare calze di lana per i soldati dichiarano di volere la dichiarazione di guerra contro la Germania. A loro e agli “eroi da caffé” la Difesa risponde con il racconto di un soldato inglese ferito che, sul campo di battaglia, ha curato ed è stato curato da un tedesco.

Abbiamo scritto

A ricordo della sesta battaglia dell’Isonzo, ricordata come la “presa di Gorizia”, mettiamo on line in alta risoluzione la prima pagina della Difesa del 20 agosto 1916. Non è quella (del 13 agosto) che porta a tutta pagina il titolo dell’ingresso in città, perché il testo appare molto danneggiato, ma anche perché il numero successivo dà spazio a notizie e commenti interessanti, al di fuori dai bollettini ufficiali. Come la notizia della medaglia d’argento conferita al battaglione alpini Bassano.

Dal battaglione Bassano al sindaco di Asiago - Noventa vicentina. Mentre gran parte popolazione del nostro caro altipiano è momentaneamente costretta ad involontario esilio sia di conforto nel grande dolore la notizia che l’eroico contegno dei suoi prodi figli ha meritato l’alto onore dell’assegnazione di “motu proprio” di S. M. della medaglia d’argento al valore militare al battaglione Bassano per l’eroico ardire con cui il 1° maggio ha concorso alla conquista di forti trinceramenti sul monte Cukla...
L’alta e rara onorificenza concessa al Bassano è particolarmente significante perché data a un battaglione composto nella quasi totalità da alpini dei Sette comuni. Essa è quindi una prova solenne del patriottismo di quelle alpestri popolazioni ed è una smentita non meno solenne a tante insinuazioni fatte a loro carico e dovunque diffuse con la massima leggerezza e superficialità.
Nemmeno la sventura che ha colpito quegli abitanti costretti ad andare errando quali profughi in cerca di un asilo, nemmeno le loro lagrime, i loro patimenti inauditi valsero a far tacere certe bocche e così i profughi provarono le più amare delusioni quando feriti, insultati.

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