Il rumore di una foresta che cade: intervista a Enzo Bozza, presidente del Consorzio Legno Veneto

La montagna veneta ha un problema: il maltempo ha lasciato a terra migliaia di alberi che rischiano di degradarsi se non lavorati e immagazzinati adeguatamente entro pochi mesi.

«Il problema è cogente — spiega il presidente del Consorzio legno veneto, Enzo Bozza — anche nei piazzali i tronchi si possono stoccare solo per un breve tempo, mentre il tavolato è più facile da conservare. Bisogna segare più alberi possibile e far pulizia nel bosco per evitare che le piante cadute compromettano le altre».

Da una disgrazia come quella che si è abbattuta sulle Alpi, può scaturire un'opportunità per riorganizzare l'intera filiera del legno, offrendo alle comunità montane un'occasione di sviluppo insperata.

Il rumore di una foresta che cade: intervista a Enzo Bozza, presidente del Consorzio Legno Veneto

Quando un'intera foresta cade in poche ore, i problemi sono tali e tanti che riassumerli è quasi impossibile.

Ci sono i danni all'ecosistema, quelli riportati dalle abitazioni e dalle infrastrutture e poi c'è la fatica di chi, nella disgrazia, deve trovare la forza di ripartire e ricostruire quanto è andato distrutto.

Gli alberi non sono solo un ornamento per le montagne, sono una risorsa per un'intera filiera che dà lavoro a decine di imprese e centinaia di famiglie. Una sfida, quella lanciata dal maltempo, che deve essere raccolta pena ulteriori disagi per le popolazioni colpite.

Il mondo fino a due settimane fa

Secondo i regolamenti vigenti, solo il 30% della naturale ricrescita dei boschi veneti può essere tagliato, il che garantisce un tasso di incremento elevato e costante degli alberi.

«Questa scelta deriva da una necessità di rimboschimento delle nostre montagne che si è reso necessario nel dopoguerra — chiarisce Enzo Bozza, che con la sua azienda Bozza legnami è attivo nel settore da decenni — Austria e Nord Europa, però, abbattono il 90% della ricrescita e non sono vincolati come noi al taglio di selezione: una procedura di abbattimento selettivo più costoso».

Selezionare le piante da abbattere e non procedere esclusivamente per lotti di terreno — come fanno i concorrenti europei — rappresenta una tutela per la vegetazione e l'ambiente ma anche un aggravio di costi e responsabilità per il boscaiolo e per tutta la filiera.

È impossibile, ad esempio, operare con macchinari moderni perché, dovendo selezionare quali piante abbattere, si rende indispensabile il taglio a mano e la conseguente lavorazione all'interno di piccoli impianti.

La soluzione potrebbe essere non tanto l'abbandono del taglio selettivo, ma l'aumento della quantità di ricrescita tagliabile e il riordino generale della gestione dei boschi.

Quanto vale un bosco che cade

Con milioni di metri cubi di alberi caduti nei boschi vicentini e bellunesi, una delle grandi paure è il crollo dei prezzi. Dagli attuali 80 - 100€ al metro cubo, il valore degli schianti — gli alberi caduti a causa del maltempo — si aggira, secondo alcune stime, attorno ai 20€.

«Se la pianta cade male — spiega Enzo Bozza — rischia di danneggiarsi compromettendone l'utilizzabilità: solo il 30% sarà legname pregiato, mentre il resto sarà destinato ad imballaggi. Tutto ciò rischia di causare un crollo del prezzo del materiale base e, potenzialmente, un rincaro del materiale di qualità».

Ma la preoccupazione vera è un'altra: il Nord Europa, con l'Austria in prima fila, potrebbe farsi avanti acquistando in blocco tutto il materiale per due soldi, lavorarlo nelle segherie oltreconfine e rivenderlo in Italia a cose fatte.

Già oggi l'Italia esporta prodotti grezzi ed importa semilavorati a più alto valore aggiunto, con l'immissione sul mercato di altra materia prima — complice l'efficienza della filiera austriaca — la situazione potrebbe complicarsi.

La prima soluzione per affrontare l'emergenza? Aumentare gli stock, i magazzini lungo tutta la catena che va dalla segheria a monte fino alle industrie a valle, un buon sistema per calmierare i prezzi ed evitare ripercussioni sul mercato.

 Segherie di sistema e politiche più di sviluppo più coerenti

«Dobbiamo organizzarci per realizzare due segherie di sistema — continua il presidente Bozza — attualmente i nostri impianti migliori sono in grado di lavorare 30 mila metri cubi l'anno contro i 100 mila di una piccola segheria austriaca».

Con impianti più moderni ed efficienti si riuscirebbe a stare al passo della concorrenza europea, ma bisogna essere in grado di rendere il sistema stabile nel lungo periodo, e l'unica soluzione è una coltura boschiva coerente con le sfide del settore.

Una volta superata l'emergenza bisognerà rivedere l'intero sistema boschivo, salvaguardando da un lato l'ambiente e dall'altro scongiurando la sottoutilizzazione degli impianti. Una sfida che la politica deve cogliere al volo. 

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