“Empire of Light” di Sam Mendes con una magnifica Olivia Colman e “Mixed by Erry” di Sydney Sibilia

“Cosa resterà degli anni '80”, così cantava Raf a chiusura del colorato e vorticoso decennio. Tra lampi brillanti e malinconici, due film in sala ci riportano a quella stagione dal fascino inossidabile. Anzitutto “Empire of Light” scritto e diretto da Sam Mendes, un racconto che si snoda nella provincia inglese del 1981, un’istantanea tra dramma sociale ed esistenziale con un dolce omaggio alla storia del cinema e ai suoi luoghi. In sala c’è anche la commedia “Mixed by Erry” di Sydney Sibilia, che ricostruisce la rocambolesca avventura produttiva di Dj Enrico, dei fratelli Frattasio, che dalla periferia di Napoli riuscirono a imporsi sul mercato discografico tra il 1985 e il 1991. Un primato fondato però sull’illegalità

“Empire of Light” di Sam Mendes con una magnifica Olivia Colman e “Mixed by Erry” di Sydney Sibilia

“Cosa resterà degli anni ’80”, così cantava Raf a chiusura del colorato e vorticoso decennio. Tra lampi brillanti e malinconici, due film in sala ci riportano a quella stagione dal fascino inossidabile. Anzitutto “Empire of Light” scritto e diretto da Sam Mendes, un racconto che si snoda nella provincia inglese del 1981, un’istantanea tra dramma sociale ed esistenziale con un dolce omaggio alla storia del cinema e ai suoi luoghi. Protagonista una sempre incisiva Olivia Colman, ingiustamente tenuta fuori dalla corsa all’Oscar. In sala c’è anche la commedia “Mixed by Erry” di Sydney Sibilia, che ricostruisce la rocambolesca avventura produttiva di Dj Enrico, dei fratelli Frattasio, che dalla periferia di Napoli riuscirono a imporsi sul mercato discografico tra il 1985 e il 1991. Un primato fondato però sull’illegalità.

Il punto Cnvf-Sir.

“Empire of Light” (Cinema, 02.03)
“Il lockdown è stato un periodo pieno di intense riflessioni personali per tutti noi. Ognuno di noi si è trovato a riesaminare la propria vita. E per me, questo significava fare i conti con alcuni ricordi con cui stavo lottando fin dall’infanzia”. Così il Premio Oscar Sam Mendes – tra i suoi titoli “American Beauty” (1999), “Era mio padre” (2002), “Skyfall” (2012), “Spectre” (2015) e “1917” (2019) – descrive la genesi del suo film probabilmente più personale “Empire of Light”, legato alle maglie dei suoi ricordi, tra sfondo politico, sociale e culturale dell’Inghilterra di inizio anni ’80. Candidato agli imminenti Premi Oscar per la migliore fotografia di Roger Deakins,

“Empire of Light” è un intenso e dolce omaggio a quella stagione della vita del regista, ma soprattutto al cinema, alla sua storia e ai suoi protagonisti.

Mendes ha firmato il suo “Nuovo Cinema Paradiso”, allargando lo sguardo alla condizione degli ultimi.

La storia. Contea del Kent, 1980-81. Nella cittadina costiera di Margate è situato lo storico Cinema Empire, punto di ritrovo della comunità. Diretto dall’ambizioso Mr. Ellis (Colin Firth), l’Empire è animato da un gruppo operoso di dipendenti. Tra loro Hilary (Olivia Colman), la vice di Mr. Ellis, una donna silenziosa e gentile, chiamata a governare un complicato disturbo bipolare, e lo schivo proiezionista Norman (Toby Jones). Sul finire dell’anno viene assunto il ventenne Stephen (Micheal Ward), ragazzo di colore appassionato di musica che aspira a una borsa di studio per l’università. Tra Hilary e Stephen nasce subito un’intesa, una tenera attrazione: sono due outsider che fronteggiano rigurgiti di razzismo e demoni interiori. E il Cinema Empire rappresenta per loro, come per tutti gli affezionati spettatori, un rifugio sicuro…

“Empire of Light” non è un’opera che si mette subito a fuoco.

Sulle prime può sembrare un omaggio al potere dell’immagine, al cinema tra Storia e luoghi di riferimento, soprattutto per i continui rimandi ai classici del tempo, ai divi della settima arte, con quella fascinazione sognante che ricorda tanto l’opera di Giuseppe Tornatore. Sotto questo profilo, due sequenze in evidenza: la prima quando Stephen entra finalmente nella cabina di proiezione, nel regno di Norman, scoprendo i segreti dell’illusione cinematografica. La seconda, quando su consiglio di Stephen Hilary si abbandona alla visione di un film, da sola nel buio della sala, al termine di una giornata lavorativa. La magia e lo spaesamento che si leggono sui suoi occhi regalano una vibrante emozione.

“Empire of Light” è poi un intenso spaccato sociale, una fotografia dell’Inghilterra negli anni del governo di Margaret Thatcher, tra tensioni, scontri e musica di rottura.È un periodo in cui il cinema inizia ad avvertire i primi cambiamenti, gli scricchioli di un’attività – l’esercizio cinematografico – che non stacca più i biglietti di un tempo. Le prime avvisaglie di un terremoto che farà sentire però le sue scosse più avanti.In tutto questo, Mendes elegge come protagonisti, come figure di riferimento, due “ultimi”:

Hilary, che vive giornate altalenanti, grigie, sotto i colpi inclementi di un disturbo bipolare che non le dà tregua, e Stephen, che sogna un futuro diverso all’università, ma sempre più spesso viene strattonato dentro una realtà dura e respingente, dove il colore della pelle rappresenta ancora un problema.

Il regista firma un film intenso e poetico, che oscilla tra il dramma personale e la magia del cinema; forse non tutto torna qua e là nell’andamento del racconto, ma poco importa:

la storia ha una sua indubbia densità, forza narrativa, illuminata da protagonisti in parte, su tutti Olivia Colman. Immensa.

A questo si aggiungono sia la suggestiva ed elegante fotografia di Roger Deakins sia le magnifiche musiche composte dal duo da Oscar Trent Reznor e Atticus Ross. “Empire of Light” è un film che conquista, delicato e struggente rimane addosso al termine della proiezione. Complesso, problematico, per dibattiti.


“Mixed by Erry” (Cinema, 02.03)
“Una storia che parla di quanto sia difficile avere sogni incompatibili con il posto in cui si è nati”. Il regista-sceneggiatore Sydney Sibilia chiarisce bene il perimetro del film “Mixed by Erry”,
una commedia brillante che racconta la Napoli degli anni ’80 al tempo di Maradona, una città ritratta in chiaroscuro ma sempre con la cifra dell’ironia.

Il regista della seguitissima trilogia “Smetto quando voglio” (2014-17) e de “L’incredibile storia dell’Isola delle Rose (2020) ricostruisce l’avventurosa storia dei fratelli Frattasio, che dal rione Forcella arrivarono in una manciata di anni a dominare il mercato discografico nazionale con un business nato con i migliori proposti, ma sconfinato poi nelle praterie dell’illegalità.

La storia. Napoli, 1985. Enrico Frattasio (Luigi D’Oriano) vive di musica e sogna di fare il DJ. Passa le sue giornate nel negozio di elettrodomestici del suo quartiere, dove oltre a fare pulizie si diletta a registrare compilation musicali. Convince i fratelli Peppe (Giuseppe Arena) e Angelo (Emanuele Palumbo) a tentare il grande salto: la commercializzazione delle sue cassette con l’etichetta “Mixed by Erry”. Senza soldi, cresciuti in una famiglia umile, i fratelli Frattasio si mettono in gioco chiedendo in primis un finanziamento al boss di zona e poi ai contrabbandieri di sigarette di smerciare le loro cassette su tutto il territorio campano e oltre. In poco tempo “Mixed by Erry” diventa un fenomeno culturale, le cassette si trovano ovunque, regalando loro un fatturato da capogiro. L’unico problema è che la Guardia di Finanza (Francesco Di Leva) è alle costole dei Frattasio, perché coglie nell’impresa la voragine della pirateria discografica…

Scritta dallo stesso Sibilia insieme ad Armando Festa,
“Mixed by Erry” è una commedia frizzante dal ritmo veloce, coinvolgente, tutta giocata in dialetto napoletano (con sottotitoli).

Un film che ricostruisce con cura lo sfondo socio-culturale, musicale, della Napoli anni ’80, in pieno fermento e “sconvolgimento” per l’arrivo del campione Diego Armando Maradona (scenario fotografato magnificamente da Paolo Sorrentino in “È stata la mano di Dio” del 2021). Si ride, e molto, per battute scritte con brio e leggerezza; un copione che gira agile e veloce anche grazie agli interpreti, dalle giovani scoperte Luigi D’Oriano, Giuseppe Arena ed Emanuele Palumbo, ai veterani Francesco Di Leva, Cristiana Dell’Anna, Adriano Pantaleo e Fabrizio Gifuni.

Sydney Sibilia gira bene, con stile e grinta, confermando talento e una evidente crescita artistica;

il regista governa con efficacia una storia godibile e accattivante, soprattutto per il modo in cui rinverdisce gli anni ’80 e la Napoli del tempo.

In tale cornice colorata e pop, a ben vedere il film a tratti sembra quasi far “dimenticare” la piega non poco problematica della storia: la spinosa questione della pirateria discografica. Risate sì, ma con un retrogusto di amarezza. Consigliabile, problematico, per dibattiti.

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Fonte: Sir