La delicatezza del velo che avvolge la parrocchia di San Bellino: il murale di Yama oltre i suoi dogmi

In occasione della seconda edizione di Super Walls, la Biennale di street art, l'artista Yama ha portato la sua arte in una nuova dimensione. Da sempre attento alla tridimensionalità e ai giochi di prospettive, il suo ultimo lavoro va oltre il lettering del graffitismo puro per abbracciare una nuova dimensione delicata e perfettamente coerente con il luogo che lo ospita 

La delicatezza del velo che avvolge la parrocchia di San Bellino: il murale di Yama oltre i suoi dogmi

Un delicato velo si adagia sulla facciata della parrocchia di San Bellino, nel quartiere Arcella, visibile dall’omonima via. Il tessuto si appoggia seguendo ora le finestre ora le proprie pieghe, con increspature e giochi di luci e ombre che, se guardata nel complesso l’opera da una precisa angolatura, ne risaltano tutta la sua tridimensionalità.

E sulla tridimensionalità e illusioni prospettiche si è spinta la carriera artistica di Yama, tra i protagonisti dell’edizione 2021 di Super Walls , la Biennale di street art padovana. Yama, nato in Sardegna e arcellano da quando ha 11 anni, è una delle firme storiche del graffitismo cittadino e non solo, all'interno della crew Ead. In questa occasione, però, ha voluto spingersi oltre, una rinascita sua personale – ironia della sorte, ma solo coincidenza – la rinascita è stato il tema proprio della biennale:

«Questo lavoro rappresenta una sorta di rinascita stilistica personale, una cosa non prevista – racconta Yama – Ero un po' annoiato dai dogmi dei graffiti, stavo rischiando di essere un’imitazione di me stesso, non che non mi diverta fare ancore lettere e cose mie, ma soprattutto quando entri in una manifestazione di carattere pubblico, un po’ di responsabilità comunicativa la porti e non si deve sempre dare precedenza al proprio ego. Il progetto di questo muro coincide con la volontà di avvicinare il mio mondo principale, lavoro nel settore dell'abbigliamento, alla mia attitudine artistica. E ho pensato come poteva essere vestire una parete, darle un vestito».

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Dogma, dicevamo. Inizialmente era questo il nome scelto per l’opera, un'inconsapevole connessione anche con il luogo che ospita il suo murale. Alla fine, Yama ha optato per “Leap of faith”, atto di fede, quello che lui ha vissuto spingendosi oltre, provando qualcosa di nuovo, mettendosi in gioco. Credendo in qualcosa che non è immediatamente visibile. Infatti, nei giorni della sua realizzazione, anche lo stesso artista era scettico sul risultato finale, ma quando ha dato forma ai rombi, alla sinuosità dei ricami azzurri e alla profondità di sguardo, il risultato è qualcosa di estremamente contestualizzato e in armonia.

«Il rischio da cui sono sempre fuggito è quello di essere risucchiato dai dogmi – continua a raccontarsi l’artista – Talmente tanto iconico al punto di diventare macchiettistico. E invece dipingere su parete è un percorso personale, gli stili danno una direzione, ma non devono mai sovrastare la sensibilità dell'artista. Mi piaceva fare una cosa totalmente mia, ma che in maniera semplice avesse un’estetica anche italiana, tale portare la nostra cultura in contesto internazionale».

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Del resto di contaminazioni e commistioni si nutre chi vede New York da sempre come “La Mecca” della cultura dei writer e dei graffiti. Lui che ha viaggiato molto, è stato lontano da Padova per diversi anni e, ora che è tornato in città, percepisce proprio nell’Arcella vibrazioni positive, quell’assenza di pregiudizio che nasce dal confronto. A contatto con la strada, sempre, come attitudine, Yama anche in questo suo ultimo lavoro marca un principio cardine della sua arte, la privilegiata osservazione dell’opera dal vivo: «Volevo valorizzante lo sguardo del passante e soprattutto chi lavora con gli anamorfismi e le prospettive non può "abbandonare" lo spettatore reale a favore solo dei fruitori social. Ecco perché quello che ho realizzato è qualcosa di non confondibile e apprezzabile soprattutto avendocelo davanti». 

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