Maratona dell'umanità a Padova: la lettura ininterrotta dei 34.361 morti nel Mediterraneo tra il 1993 e il 2018

L'iniziativa, che rientra nell'edizione 2019 del Welcome Festival, ha coinvolto circa 60 cittadini che, davanti alla stazione, dalle 8 di martedì 29 ottobre per oltre cinque ore, hanno letto ininterrottamente tutti i nomi delle oltre 34 mila vittime che da 25 anni cercano di attraversare il mar Mediterraneo. Accanto a Nabil, Omar, Sahin, Nazmieh, Lejla, ci sono tanti “sconosciuti”, sono i corpi impossibile da identificare, di cui non si sa nulla, nome o terra d’origine. 

Maratona dell'umanità a Padova: la lettura ininterrotta dei 34.361 morti nel Mediterraneo tra il 1993 e il 2018

È una maratona, ma qui non si corre per arrivare primi al traguardo. Al contrario, ogni istante, ogni parola va scandita prendendosi tutto il tempo opportuno e necessario. La maratona dell’umanità è un impegno civile e intimo, una lettura collettiva dei nomi dei 34.361 migranti morti nel mar Mediterraneo tra il 1993 e il 2018. Venticinque anni, un quarto di secolo ininterrotto di vittime: nominandole una a una si vuole riconosce la dignità di quei bambini, adulti, uomini e donne morti in un bacino di acqua salata, speranza e morte.

La maratona, proposta per la prima volta nel dicembre 2018 a Modena dal Centro di servizio per il volontariato locale, è stata eseguita anche a Padova nella mattina di martedì 28 ottobre: un’iniziativa delicata - che rientra nelle due settimane del Welcome festival edizione 2019 - nella quale, sotto il porticato laterale della stazione, per oltre cinque ore a partire dalle 8, circa 60 cittadini, volontari, italiani e stranieri, suddivisi in sei postazioni hanno pronunciato le oltre 34 mila vittime in ordine cronologico.

Dai primi profughi albanesi ai figli dell'Africa

I primi profughi albanesi, il naufragio della Katër i Radës con la morte di 81 persone di cui si riuscì a recuperare i corpi, flussi migratori che si mescolano da est a ovest e da sud a nord, i naufraghi di ieri con quelli di oggi, l’Africa che piange i suoi figli partiti dai paesi subsahariani o dalle aree del Maghreb, i 368 morti del naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013, e poi ancora un numero imprecisato di dispersi tra chi ha tentato di traversare a nuoto il fiume Evros, tra Turchia e Grecia, chi soffocati nel fondo di un camion o sul tetto di un treno, morti di freddo lungo la Balkan Rout. Infine, l’impossibilità di identificare le salme: sì perché accanto a Nabil, Omar, Sahin, Nazmieh, Lejla, ci sono tanti “sconosciuti”, di cui non si sa nulla, nome o terra d’origine.

«C’è chi portava con sé un sacchetto di terra, custodito gelosamente nella propria tasca, per ricordarsi della propria casa una volta arrivato a destinazione: un futuro migliore. Chi con sé aveva la tessera della biblioteca. A qualcuno era stata cucita la pagella all’interno del giubbotto», dice Daniela Di Nora di Xena, mentre spiega ai passanti l’iniziativa.
Chi per 20, 30 lunghi minuti, chi solamente per qualche istante, ogni partecipante, tra cui le assessore Marta Nalin e Francesca Benciolini, ha pronunciato una sequenza di nomi. Stando in piedi sotto la pioggia, ora guardando il foglio, ora fissando il vuoto. Mentre tutto attorno alla stazione continuava a scorrere con alcuni passanti che si sono fermati e altri che hanno ripreso a camminare nella quotidianità della propria vita. Diversi partecipanti si sono commossi, una signora ha stretto forte il braccio di una volontaria dopo aver nominato l’ennesimo “sconosciuto”, una lista incessante e alienante, una ripetizione che quasi svuota il senso della parola stessa.

Ma qui le parole, le 34.361 parole hanno sì un senso e una forza: la memoria e la dignità che va preservata.

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