«Ci ha insegnato a cambiare». Il ricordo di Aristide: dalla strada alla casa grazie alla comunità

È morto davanti alla sua nuova casa, a inizio novembre. Giuseppino Baldi, conosciuto come Aristide, aveva vissuto per un decennio in strada. Poi ha trovato casa e stabilità grazie alla parrocchia di Santa Sofia e all'associazione Murialdo. "Non si può fare a meno di ringraziarlo per aver permesso a tutti noi di entrare nella sua vita".

«Ci ha insegnato a cambiare». Il ricordo di Aristide: dalla strada alla casa grazie alla comunità

Ha vissuto la strada. Si è fatto aiutare, e, facendolo, ha aiutato un’intera comunità a riscoprire se stessa. Si è fatto amare, e così ha amato tutti. C'è profonda commozione tra Santa Sofia e la comunità del Murialdo per l’improvvisa scomparsa, a inizio novembre, di Giuseppino Baldi, o meglio Aristide, come lo chiamavano gli amici. Ma è una commozione che nasconde un sorriso, nella convinzione che il bene generato su questa terra si trasfiguri nell’eternità.

Aristide, 67 anni, da oltre un decennio viveva in strada, ma grazie ai volontari della parrocchia di Santa Sofia e su segnalazione dei servizi sociali, prima è stato accolto in parrocchia, poi in un gruppo appartamento di tipo familiare dell’associazione Murialdo. Si è spento sotto la pioggia, di mattina presto, alla fermata dell’autobus davanti alla sua nuova casa.

Avevamo scritto di Aristide, nelle pagine della Difesa, solo pochi mesi fa, come una storia di successo e di rinascita. «È una persona che riconosce il ruolo che abbiamo avuto nella sua vita – ci raccontavano i volontari di Santa Sofia – e ormai ha un ruolo importantissimo per la nostra». In quelle righe, l’entusiasmo e il senso di vittoria per un percorso, frutto del lavoro di 22 volontari, che si era concluso con l’ospitalità in una casa famiglia della Fondazione del Murialdo.

«Non c’è niente da fare. La storia di Aristide e del gruppo dei volontari dei pranzi di solidarietà di Santa Sofia è una gran bella storia – racconta Mario – La bella storia di un gruppo di circa venti persone che per un anno hanno seguito e accudito Aristide e l’hanno fatto risorgere a nuova vita. Ogni persona del gruppo, a seconda delle proprie capacità, competenze e propensioni, si è data da fare. A turno c’era che gli apriva la porta del patronato, chi gli preparava la cena, chi lavava e stirava i vestiti, chi giocava a carte, chi si dava da fare per rifare tutti i documenti, la tessera sanitaria, la pensione e tante e tante altre cose».

Forse il problema più evidente che manifestava Aristide, del resto sempre buono e affabile, è quello che in gergo viene chiamato “disturbo di accumulo”. «Forse per la sofferenza dell’abbandono, Aristide raccattava in continuazione oggetti tenendoli in sacchetti vari – fa notare Emilio Noaro della Fondazione del Murialdo – I suoi sacchetti lo accompagnavano sempre, ovunque lui andasse, sempre con il volto sereno, simpatico e amicale».

«Non è stato un percorso facile – ammette Mario – anzi talvolta è stato molto difficile. All’inizio ci eravamo anche illusi di poter incidere sul problema dei sacchetti, ma abbiamo subito capito che potevamo solo arginare il problema e che era una battaglia persa. Ognuno ha le sue manie e ossessioni, chi non le ha... l’importante per noi era ridare dignità e serenità a una persona buona. E Aristide ha conquistato tutti perché era una persona buona. Non ha mai chiesto nulla. Non si lamentava e non era neppure fatto per grandi ringraziamenti, anche se sicuramente era felice di tutte le nostre attenzioni».

«Fondamentale – conclude Mario – è stato, dopo l’anno trascorso a Santa Sofia, l’aiuto di Sergio Tisato e poi di Emilio Noaro che hanno capito l’importanza di offrire ad Aristide una sistemazione adatta a lui. Diversamente tutto il lavoro fatto fino ad allora da noi sarebbe andato perduto. Noaro e i compagni di appartamento di Aristide hanno contribuito in modo sostanziale alla totale ripresa del nostro amico».

«Ripensavo proprio in questi giorni a come erano iniziate le cose – ha scritto Angela dall’Ecuador – il caffè al bar sotto casa, la prima doccia a Santa Sofia, la mattinata dal barbiere con Mario per poi andare a fare la fototessera... ognuno di noi ne avrebbe tante da raccontare! Quello che semplicemente vorrei dire ad Aristide è che spero con tutto il cuore che questi tre anni insieme a noi lo abbiano aiutato a ritrovare un po’ di felicità, a sentirsi nuovamente una persona e a sapere che tante persone, anche se un po’ sconosciute, gli hanno voluto bene. Ci ha insegnato che molte cose non le possiamo cambiare, infatti Aristide non ha mai lasciato quei suoi sacchetti, ma ci ha anche insegnato che tante cose si possono migliorare. Pure quando si tratta di una sola persona vale sempre la pena tentare».

Emilio Noaro riflette anche sul come se ne sia andato Aristide: «Era un signore della strada, che in questi ultimi due anni è riuscito a sperimentare il calore familiare di una casa con nuovi compagni e amici. Proprio lui, per una strana sorte, è morto proprio in strada e sotto quella che era diventata la sua casa. Sembra quasi rimarcare una condizione, la sua tenacia: “Come sono arrivato, così me ne vado”. È talmente impressionante, sconcertante, scioccante, sconvolgente, emozionante, commovente, straordinario che non si può fare a meno di ringraziarlo per aver permesso a tutti noi di entrare nella sua vita».

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