Natale del Signore Messa dell’Aurora *Lunedì 25 dicembre 2023

Luca 2,15-20

Natale del Signore  Messa dell’Aurora *Lunedì 25 dicembre 2023

Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.

Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.

I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.

In questo giorno sarebbe bello andare tutti su alla certosa di San Martino a Napoli. Conserva un’Adorazione dei pastori di Guido Reni, che parla da sola, tanto è luminosa. È del lontano 1640, ma ha un messaggio che travalica ogni data possibile per diventare una meta che rimane purtroppo sempre al futuro. La pala racconta, infatti, la notte di Natale come l’appuntamento degli ultimi della terra. Un presepio di una bellezza che sfonda ogni oscurità e trasforma l’onnipotenza di Dio nel vagito di un bambino che giace tra la paglia, fuori città.

Un gruppo di pastori gli si affolla intorno. Sono stati allertati da quegli angeli, che in alto tra le nuvole stanno ancora esultando per quello che è successo a Betlemme. «Non temete! Vi annuncio una grande gioia – cantano – che sarà di tutto il popolo» (Lc 2,10). Ma ci può mai essere una grande gioia per pastori che vivono come bestie sulla montagna e che la gente confonde spesso con i briganti che non badano a spese? «Oggi – continuano gli angeli – nella città di Davide è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (2,11). Ma da quando in qua c’è uno che s’interessa di salvare loro, che tutti giudicano non solo ignoranti, ma gente sozza e piena di peccati? «Questo per voi il segno» (2,12) continuano gli angeli. Ah, i segni, quelli sì i pastori li conoscono! Sono quelli che anche loro fanno sulle pecore e gli agnelli, quelli che, perché vecchi o malati, sono da eliminare. Una croce sulla lana, di solito di colore rosso, e quello è spacciato. 

«Troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Ivi) concludono gli angeli!  E i pastori si guardano strani. Un bambino? Una mangiatoia? Ah sì, questi li conosciamo anche noi. Sono i figli che abbiamo fatto nascere dalle nostre donne! Una carezza dolce racchiusa nel pugno della vita! E poi le mangiatoie… quattro assi intrecciate, un po’ di paglia e fieno, per la fame che non tace mai. Perché non crederci? 

Ed, ecco, «i pastori andarono senza indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E, dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro» (2,16-17). Lo guardano con attenzione! È proprio come avevano detto gli angeli. In tutto uguale ai loro bambini! Anche Maria e Giuseppe sono proprio come loro, viandanti finiti fuori città, sorpresi da meteorologie improvvise. Impossibile trovarne riparo! L’intesa non può essere più semplice. Non hanno che da guardarsi l’un l’altro! Una reciprocità che annulla distanze e sospetti! Anche l’uomo più feroce davanti a un’umanità così persa ritrova le lacrime che non credeva più di avere. È così che «il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà» (Is 11,6)

Ma guardalo meglio quel «fanciullo che li guiderà»! Guardalo, però, non con gli occhi di sempre. Hanno diottrie troppo corte. Sono miopi alle grandi visioni! Guardalo con gli orecchi! Con le parole che i pastori hanno ascoltato dagli angeli. Guardalo come si fa a Roma ai Fori imperiali o in Grecia a contatto con le rovine dei templi antichi. Sono le parole, che ascolti dalla guida turistica, che creano l’immagine vera. Trasformano pietre abbandonate in architetture d’arte eterna. Un vero presepio, in cui immergersi nella contemplazione più intensa.

Guardalo, allora, quel bambino con le parole degli angeli. E immediatamente quel bambino, nella sua nudità più povera diventa agli occhi di Guido Reni un faro talmente abbagliante che non riesci neppure a distinguerne i contorni, filamenti incandescenti che irraggiano attorno così tanta luce che anche dall’oscurità della notte che avvolge ogni cosa riemergono incandescenti le fisionomie dei singoli pastori. Ognuno con la sua faccia, il suo sorriso, il suo portamento più o meno composto, i suoi doni e i suoi animali. 

La luce, che li investe, li riveste di una dignità addirittura radiosa. 

Anche i vestiti laceri, con cui tentano di coprire la loro povertà, diventano paramenti sacri di una liturgia che va oltre Betlemme, oltre il tempio di Gerusalemme, rimbalza in alto nel canto degli angeli e si diffonde in ogni angolo della terra: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che Dio ama» (2,14).

«Una luce è spuntata per il giusto – canta il salmo responsoriale – una gioia per i retti di cuore. Gioite, giusti, nel Signore, della sua santità celebrate il ricordo» (Sal 96,11-12). «Dite alla figlia di Sion – continua Isaia – Ecco, arriva il tuo salvatore; ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Li chiameranno Popolo santo, Redenti del Signore – incalza Isaia – E tu sarai chiamata Ricercata, Città non abbandonata» (Is 62,11-12). È così, ci spiega Paolo, «quando apparvero la bontà di Dio e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati, affinché, giustificati per la sua grazia, diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna» (Tt 3,4-7). Sono parole immense, squarci di cielo ineffabili, impossibili a dirsi. Infatti, «tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Anche Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,18-19)

Accanto a questo bambino oggi c’è solo da inginocchiarci, tutti, a nido come fanno i pastori sulla tela di Reni. Starci vicini, l’uno accanto all’altro. E lasciarci illuminare dalla sua pace, e domandarci scusa. Per tutto il tempo che abbiamo perso a starci lontani, facendoci ombra l’un l’altro. Oggi la luce di questo bambino stana anche gli inutili sensi di colpa che la nostra ignoranza accamperebbe subito. Sono tutti inutili. Oggi dobbiamo solo… abbracciarci tutti e subito, ritrovare il filo perduto, riaccendere sotto la cenere quella carità, che «tutto copre e tutto perdona». E che solo questo bambino porta al mondo. E, poi… tornare a casa e rifare il mondo. Quello di sempre, quello di mai. Come hanno fatto i pastori, «glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro» (2,20).

frate Silenzio

Sorella allodola

Non c’è cielo che non abbracci la terra 

e non c’è terra che non tocchi il cielo!

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