Il doppio dramma di Luciano, rimasto senza casa e senza azienda nell'alluvione del 2010

Tra il 31 ottobre e il 2 novembre 2010, il Veneto fu colpito da una forte perturbazione che rovesciò, sulla regione, piogge persistenti che causarono l’esondazione di diversi corsi d’acqua. Comuni e frazioni delle province di Vicenza, Padova e Verona furono sommersi: il Bacchiglione straripò a Vicenza e, nella notte tra il primo e due novembre, ruppe l’argine nella zona di Roncajette. Ponte San Nicolò, Casalserugo, Bovolenta e Maserà, tra i paesi più colpiti, furono totalmente inondati.
Per Luciano Giacometti un doppio dramma: sott'acqua finiscono sia la casa sia l'azienda. Ma grazie alla sua determinazione Veneto Sviluppo stanzia fondi per prestiti legati alla ricostruzione. E, tutti insieme, testardamente, si riparte.

Il doppio dramma di Luciano, rimasto senza casa e senza azienda nell'alluvione del 2010

«Avevo percorso questa strada la sera prima, mi ero fermato un attimo per far vedere una volpe alle mie figlie. Poi, dopo qualche ora, non c’era più nulla, era tutto sommerso dall’acqua».
Luciano Giacometti racconta questo aneddoto mentre, davanti allo schermo del pc, mostra un video che raccoglie tutte le drammatiche immagini dell’esondazione del fiume Bacchiglione nella notte tra il primo e il due novembre 2010. Luciano, imprenditore di un’azienda che si occupa di tendaggi e zanzariere, ha vissuto in prima persona il doppio dramma di una natura matrigna che in pochi istanti ha inondato la sua abitazione e trascinato via il suo lavoro.
Quella notte, è stato il parroco a svegliare lui, sua moglie e i quattro figli mentre il livello dell’acqua si alzava sempre più fino a toccare i 60 centimetri d’altezza. Lo spavento lascia spazio alla disperazione quando, il giorno dopo, scopre che anche Bovolenta, dove ha sede la sua ditta, è completamente allagata.

Tutto in frantumi. Tutto da ricostruire. Per otto giorni l’azienda di Luciano è scomparsa sotto oltre un metro e mezzo d’acqua
«Con una gru abbiamo tolto i macchinari, ormai l’elettronica era totalmente bruciata. Avevo una saldatrice ad alta frequenza da 120 mila euro, fondamentale per realizzare i teli in pvc. Avverti un senso di abbandono e di incredulità».

Fuori dai capannoni si ammassa tutto ciò che è destinato a esser buttato: macchinari, tessuti, materie prime. Praticamente una vita da rifare. Frastornato e catapultato in una dimensione tragica e inaspettata, Luciano si rimbocca immediatamente le maniche: «Eravamo nella zona rossa, quella che può essere raggiunta solo in barca assieme ai vigili del fuoco e ci siamo attivati coordinando gli interventi affinché le idrovore venissero piazzate nei punti giusti. Abbiamo allestito anche un paio di gazebo dove poter mangiare ed è stato bello vedere tanta partecipazione, anche di persone che venivano da altre città, tipo Parma, e portavano prosciutti e alimenti vari».

Vengono stanziati 300 milioni di euro per i danni alle imprese, ai privati e alle opere pubbliche, più 20 milioni destinati alla somma urgenza.
Inizialmente si parla di un risarcimento pari al 75 per cento. Luciano non ha nemmeno un tavolo sul quale compilare i moduli per le richieste o un fax per spedirli, e sin da subito emergono degli intoppi: «I comuni delle aree colpite non prendono per buone le nostre stime, dicendo che il risarcimento sarebbe stato effettuato in relazione allo stato del materiale e del macchinario e non in base all’effettiva produttività. Questo ha danneggiato non solo le industrie, ma anche i privati con stime al ribasso sui vari appartamenti».

Un brutto colpo che scalfisce la voglia di ripartire, ma l’imprenditore di Ponte San Nicolò, determinato ad andare avanti e a riprendersi in mano la sua attività, non molla
«Alla fine i comuni stilano un prontuario con dei limiti quantitativi e ci fanno capire che il rimborso è solo del 30 per cento; così, io e un gruppo di imprenditori ci attiviamo rivolgendoci a Veneto Sviluppo».
La società, ascoltate le richieste, indice un bando per un prestito fino a 100 mila euro alle imprese e 30 mila alle famiglie: è un piccolo spiraglio di luce, un impulso a ricominciare. Non c’è da perder tempo, Giacometti, assieme al comitato per gli alluvionati, gira di azienda in azienda per dare una mano nella compilazione dei documenti necessari. Tutti, uniti, sono riusciti a emergere dal pantano, aggrappandosi l’un l’altro per iniziare una nuova, complicata, vita.

In lui c’è la convinzione che non tutti i soldi stanziati siano stati utilizzati per risollevare le aziende.
Così, a sue spese, ha realizzato un soppalco, utile per mettere in salvo i macchinari in caso di nuovo allagamento. Perché il Bacchiglione è lì accanto e incute sempre paura:

«Alla vigilia di Natale dello stesso anno, nessuno di noi ha dormito, perché l’acqua stava per superare l’argine. Mentre tutti erano a messa, noi eravamo lì, preoccupati, perché se ci siamo rialzati una volta, difficilmente ci potremmo riprendere da una seconda calamità».

Il dramma della Bassa Padovana

Tra il 31 ottobre e il 2 novembre 2010, il Veneto fu colpito da una forte perturbazione che rovesciò, sulla regione, piogge persistenti che causarono l’esondazione di diversi corsi d’acqua.
Comuni e frazioni delle province di Vicenza, Padova e Verona furono sommersi: il Bacchiglione straripò a Vicenza e, nella notte tra il primo e due novembre, ruppe l’argine nella zona di Roncajette. Ponte San Nicolò, Casalserugo, Bovolenta e Maserà, tra i paesi più colpiti, furono totalmente inondati.

Nella Bassa padovana, inoltre, si riversarono 23 milioni di metri cubi d’acqua
L'argine del fiume Frassine cedette allagando i territori di Megliadino San Fidenzio, Saletto, Montagnana, Ospedaletto Euganeo ed Este. Un paio d'ore dopo, invece, un altro scolo, il Vampadore, straripò allagando Megliadino San Vitale, Casale di Scodosia, Carceri e Vighizzolo.

I danni furono enormi
La cifra complessiva stimata tra privati, imprese e opere pubbliche fu di 426 milioni di euro. Nella sola provincia di Padova vennero sfollati 4.500 cittadini, mentre nel Vicentino persero la vita tre persone.

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