Il volto onesto e popolare della democrazia

Venticinque anni fa scompariva Sandro Pertini, uno dei presidenti più amati della storia repubblicana. Tra i pochi socialisti a essere critici nel dopoguerra con l’esperienza del Fronte popolare, inflessibile custode dell’imparzialità delle istituzioni e della moralità della politica, seppe farsi amare per l’autenticità della testimonianza e il carattere schiettamente popolare

Il volto onesto e popolare della democrazia

Sono trascorsi 25 anni dalla scomparsa di Sandro Pertini, uomo di grandi ideali, prima che dichiarati, testimoniati. E prima che testimoniati ai massimi livelli istituzionali (presidenza della camera e poi della repubblica) dimostrati nel suo pregresso impegno umano e politico.

Pertini fu di una assoluta intransigenza in relazione ai valori della democrazia e della giustizia sociale considerati fra loro inscindibili, a quello della pace, all’inderogabile necessità di rigore morale e civile. Iscritto al partito socialista, nel primo dopoguerra, testimoniò senza mai deflettere il suo essere democratico, antifascista e ciò gli fece subire aggressioni, pestaggi pubblici, l’esilio e poi 15 anni tra carcere e confino.

Dall’8 settembre 1943 partecipò alla Resistenza attivamente e con ruoli politici di primaria rilevanza (gli venne conferita una medaglia d’oro). Finita la guerra il suo impegno politico continuò nel partito socialista (fu anche membro della Costituente) e proseguì anche quel suo mettersi a rischio (certo in un contesto diverso da quello del passato) per portare avanti con grande franchezza i suoi convincimenti anche a costo di trovarsi pressoché isolato.

Qualche anziano politico raccontava che Pertini stesso ricordava come nel 1946 fu quasi solo a non partecipare all’euforia per il Fronte popolare. Per anni non perseguì e non ricoperse incarichi di particolare importanza. E quando nel 1968 divenne presidente della camera affermò: «Onorevoli colleghi, noi dobbiamo pensare di lavorare in una casa di cristallo. Da noi deve partire l’esempio di attaccamento agli istituti democratici e soprattutto l’esempio di onestà e di rettitudine. Perché il popolo italiano ha sete di onestà. Su questo punto dobbiamo essere intransigenti prima verso noi stessi, se vogliamo poi esserlo verso gli altri. Non dimentichiamo, onorevoli colleghi, che la corruzione è nemica della libertà».

E i suoi principi li dimostrò particolarmente nell’azione quotidiana di tutela del ruolo fondamentale assegnato dalla costituzione al parlamento e insieme di rigorosa imparzialità nella sua presidenza. Ma imparzialità nella gestione dei lavori parlamentari non significava indifferenza verso il merito dei problemi.

Era sempre grande la sua attenzione verso gli emarginati, verso gli oppressi. Una piccola testimonianza personale. Da poco tempo deputato ritenni di presentare una mozione con cui chiedevo fosse assunta una iniziativa a favore di una realtà oppressa del Terzo mondo. Non posso dimenticare la grande attenzione con cui il presidente Pertini seguì l’iter della mozione. Fu quella anche l’occasione per me, giovane parlamentare, dell’inatteso avviarsi di un rapporto con Pertini. I colloqui con lui continuarono anche dopo l’approvazione della mozione e non solo a Montecitorio, ma anche, una volta che venne eletto capo dello stato al Quirinale e pure in val Gardena dove si recava per le ferie estive.

L’impegno di Pertini presenta molteplici aspetti dì rilevante attualità. Rammento la felice sintesi che da lui veniva di sensibilità e di calore umano e insieme di approfonditi ragionamenti proiettati verso il futuro, soprattutto in relazione ai giovani, ai quali del resto diede sempre concreta attenzione. Come non ricordare, tra l’altro, i suoi numerosissimi incontri, non formali ma caratterizzati dal dialogo, con gli studenti che da ogni parte d’Italia arrivavano a Montecitorio prima e al Quirinale poi. E più in generale sono da richiamare i molteplici incontri che aveva con persone di ogni età ed estrazione sociale, in una parola con i cittadini che a loro volta gli dimostravano stima e affetto.

Una leadership, la sua, non determinata da potere e neppure da atteggiamenti costruiti, ma dalla sua sincerità, dalla sua autenticità, dalla sua testimonianza. Era una persona fiera ma non superba. Basti ricordare il messaggio di insediamento come presidente della repubblica, in cui tra i ricordi il primo andò ad Aldo Moro: «Quale vuoto ha lasciato nel suo partito e in questa assemblea! Se non fosse stato crudelmente assassinato, lui e non io parlerebbe oggi da questo seggio, a voi».

Pertini quindi popolare e non populista, diede un grande contributo a rinsaldare il legame tra cittadini e istituzioni. Ebbe molti rapporti anche con i grandi della terra, tra gli altri quello con papa Wojtyla che coltivò anche al di là del protocollo (come la puntata insieme sulla neve in montagna). Li avvicinava, al di là della comune capacità comunicativa, una comune sensibilità su tematiche di fondamentale importanza. Pertini per la Pasqua 1983 scrisse al papa: «Santità, sia pace all’animo suo, sempre proteso verso quanti soffrono perché privi del necessario per vivere o perché giacciono inermi sotto la prepotenza altrui. Sia pace al suo coraggioso popolo che tanto io amo e che oggi non è libero come liberi dovrebbero essere tutti i popoli e tutte le umane creature».

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