«Generosità e gioia per essere veri preti». L'augurio del rettore Dianin ai nuovi sacerdoti

Domenica 4 giugno, solennità di Pentecoste, il vescovo Claudio ordina otto presbiteri: cinque diocesani e tre religiosi (alle 16.30 in Cattedrale). Il rettore del seminario, don Giampaolo Dianin, consegna loro – e a tutta la diocesi – le parole del vescovo Gualtiero Sigismondi, presidente della commissione episcopale per il clero, che cita don Mazzolari: «Il prete è folla, pastore, eremita».
Nella Difesa in edicola e in parrocchia i preti novelli si raccontano tra la gioia del momento e la speranza del futuro che inizia adesso.

«Generosità e gioia per essere veri preti». L'augurio del rettore Dianin ai nuovi sacerdoti

Nella solennità di Pentecoste la chiesa di Padova diventerà più ricca accogliendo il dono di cinque nuovi presbiteri che il vescovo Claudio ordinerà assieme ad altri tre giovani della grande famiglia francescana.

In queste settimane tante parole sono state pronunciate per loro: riflessioni, consigli, consegne, desideri, auguri. Tutte parole importanti, perché nate da cuori che battono forte per questi amici. E poi ci sono le parole più vere e sacre nate nel silenzio della preghiera di intercessione per ciascuno di loro. Ci saranno soprattutto le parole della liturgia di ordinazione, parole e gesti capaci, per l’azione di Dio, di fare di questi giovani preti di Dio per la chiesa e per il mondo.

Il rettore del seminario, e con lui gli educatori, dovrebbero a questo punto tacere, dopo che per sei anni hanno pronunciato tante parole, hanno insegnato, richiamato, consolato, corretto, verificato. E il silenzio si addice a noi che in questi giorni vediamo Dio che agisce e porta a compimento la sua opera; a noi che ascoltiamo la trepidazione di questi figli che per anni abbiamo accompagnato. Oggi rendiamo grazie al Signore che si è servito anche delle nostre piccole persone.

Ho pensato in questo momento di dare la parola a un amico, il vescovo Gualtiero Sigismondi, presidente della commissione episcopale per il clero e da pochi mesi assistente generale dell’Azione cattolica. Lo scorso 21 maggio, nelle pagine del quotidiano Avvenire, ha presentato il nuovo documento dei vescovi italiani sulla formazione del clero. Col suo stile caldo, provocante ed evocativo ha detto delle cose che vorremmo consegnare oggi ai nostri preti novelli; le nostre parole sono ormai conosciute, quelle di Sigismondi sono belle e autorevoli.

«Secondo don Mazzolari – scrive mons. Sigismondi – il prete è folla, pastore ed eremita. Folla perché è preso dal popolo di Dio; pastore in quanto deve guidare il gregge a lui affidato; eremita dal momento che è tenuto a custodire spazi di silenzio per la preghiera e lo studio, mantenendo una costante tensione armonica tra solitudine con Dio e comunione con i fratelli».

La formazione che questi giovani hanno ricevuto in seminario continua nella vita e nel ministero. La loro esistenza sarà un costante donare e ricevere, ripensare e rielaborare quanto ricevuto, un continuo crescere e anche cambiare. Il seminario forma un prete, il ministero vissuto con amore forma il prete maturo.

«La formazione – continua il vescovo di Foligno – è un processo permanente paragonabile a una porta: stretta ma santa. La soglia è la formazione iniziale. La qualità del presbiterio di una chiesa particolare dipende in buona parte da quella del seminario. Poi ci sono gli stipiti; uno è rappresentato dalla paternità episcopale, l’altro è la fraternità sacerdotale, primo e più incisivo segno di credibilità pastorale. Ogni prete, il giorno dell’ordinazione, cambia il suo “stato di famiglia”. L’architrave è la cura della vita interiore che costituisce l’attività più importante. Infine la chiave è la carità pastorale che consiste nel custodire nel cuore coloro che il prete porta sulle spalle. Sì perché, come dice papa Francesco, ciò che non si ama stanca».

È molto bella l’immagine della porta con tutte le sottolineature che fa mons. Sigismondi. Con l’ordinazione di domenica 4 giugno, si apre per i nostri amici questa porta che li fa entrare nel ministero. Non è una porta qualsiasi, è una porta santa, come lo sono state tante porte nel recente giubileo della misericordia. Il prete ci entra trasformato dal dono dello Spirito; ci entra per servire il popolo santo di Dio che va trattato con la stessa cura, rispetto e amorevolezza con cui si trattano le cose di Dio. Ci entra per donare ai cristiani i tesori preziosi della Parola e dei sacramenti, per essere guida autorevole e amorevole del gregge che gli sarà affidato. Non ci entra da solo ma in comunione col vescovo e con tanti compagni di viaggio, preti e laici, che non ha scelto ma con cui è chiamato a lavorare. Ci entra per stare davanti, in mezzo e dietro il gregge; per guidare, condividere e sostenere chi fa più fatica.

«Per essere preti veri – conclude il vescovo Sigismondi – non basta spendersi con generosità. Occorre donarsi con gioia. Custodisco come perla preziosa la confidenza di un anziano prete, fattami poco prima di morire: “Parto contento, vorrei che si sapesse”».

Siamo certi che ai nostri amici non mancherà la generosità, legata anche alla loro giovane età e all’entusiasmo dei primi passi; al Signore chiediamo che non manchi mai la gioia di donare e donarsi.

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