Migranti nei Cie, rimpatri difficili e trattenimenti inefficaci

Rapporto della Commissione diritti umani del Senato. Solo il 50 per cento degli stranieri rimpatriati: “Costi altissimi e pochi accordi con i paesi d’origine, puntare su rimpatrio volontario assistito”. La denuncia: “Nei Cie anche persone da anni in Italia con la famiglia”.

Migranti nei Cie, rimpatri difficili e trattenimenti inefficaci

Una politica dei rimpatri ancora di difficile attuazione, nonostante gli impegni presi in sede europea, e un sistema di trattenimento ed espulsione degli stranieri irregolari totalmente inefficace.
È questa la fotografia scattata dalla Commissione diritti umani del Senato nel Rapporto sui centri di identificazione ed espulsione (Cie), presentato a Roma. Il dossier si focalizza sul tema dal punto di vista del rispetto dei diritti delle persone, e ricorda che sono due le novità principali emerse nel corso del 2015 in merito al trattenimento degli stranieri nei centri di identificazione e di espulsione: l'aumento del numero dei Cie e l'attivazione dell'approccio hotspot previsto dall'Agenda europea sulle migrazioni del maggio 2015. Due aspetti tra loro strettamente collegati.

Aumentano i Cie.
In tutto nel 2015, sono transitate nei Cie 5.242 persone, di queste i trattenuti che hanno fatto richiesta di asilo sono stati 1.356, quelli rimpatriati sono invece 2.746. La permanenza media è stata di 25,5 giorni. Allo stato attuale sono sei i Cie funzionanti (Bari, Brindisi, Caltanissetta, Crotone, Roma, Torino) – uno in più rispetto all'anno scorso – con 720 posti disponibili.
I Cie di Brindisi e di Crotone sono stati riaperti, dopo alcuni anni, a settembre 2015; mentre quello di Trapani, attivo fino al 31 dicembre 2015, dal giorno successivo è stato convertito in hotspot. Si ipotizza inoltre la riapertura del centro di Milano (132 posti) e di Gradisca di Isonzo (248 posti). Nel corso del 2015 sono stati 397 i migranti trasferiti dall'hotspot di Lampedusa ai Cie italiani.

Solo il 50 per cento delle persone rimpatriato.
Nonostante gli impegni fissati in sede europea, i dati continuano a dimostrare che l’Italia rimpatria in media la metà degli stranieri trattenuti nei Cie.
Dal 1 gennaio al 20 dicembre 2015, infatti, sono transitate complessivamente nei Cie italiani 5.242 persone: di queste 2.746 sono state effettivamente rimpatriate (il 52 per cento). Lo stesso era accaduto nel 2014 quando a fare ritorno a casa in maniera coatta attraverso i Cie era stato il 55 per cento dei trattenuti: ovvero 2.771 persone a fronte dei 4.986 presenti.
Anche nel 2013 su 6.016 stranieri transitati, 2.749 sono i rimpatriati, con un tasso di efficacia (rimpatriati su trattenuti) che si aggira intorno al 50 per cento.
Non solo, ma il dossier ricorda che, come affermato dal Capo della Polizia nel corso di un'audizione alla Camera lo scorso 20 gennaio, nel 2015 su un totale di 34.107 stranieri sottoposti a un provvedimento di espulsione dal territorio italiano, 15.979 sono stati effettivamente allontanati dal territorio italiano (circa il 46 per cento) mentre 18.128 non hanno mai lasciato il paese.
“Si tratta di persone che rimarranno in Italia senza alcun titolo di soggiorno – denuncia la Commissione – le cui possibilità di regolarizzazione diminuiscono con il passare del tempo, mentre aumentano quelle di essere di nuovo trattenute. In Italia non è attiva, infatti, una procedura di regolarizzazione alternativa a quella della protezione internazionale accessibile a chi è già presente sul territorio. Ecco perché i lavoratori stranieri irregolari non possono inquadrare la loro posizione e tentano la via della richiesta di protezione internazionale per ottenere un permesso di soggiorno”. 

Incentivare i rimpatri volontari assistiti.
Diversi sono i motivi che ostacolano i rimpatri: una innanzitutto i costi altissimi, ma anche la necessità del "riconoscimento" dell'autorità consolare del paese di provenienza e i limiti ben precisi per l'uso coercitivo delle misure fissati dalla direttiva 2008/115/CE.
Attualmente, quindi, sono possibili solo verso quei paesi con cui esiste un accordo di riammissione: sono state formalizzate intese con l’Egitto nel 2007 e con la Tunisia nel 2011, e di recente si è aggiunta la Nigeria. Sono state, poi, avviate forme di cooperazione operativa con i Paesi dai quali hanno origine i principali flussi di immigrazione irregolare: in particolare con Gambia, Costa d'Avorio, Ghana, Senegal, Bangladesh e Pakistan.
Per quanto riguarda il supporto di Frontex, nel 2015 solo 290 persone sono state rimpatriate in collaborazione con l’agenzia europea. Di queste, 153 con voli organizzati in via bilaterale verso l'Egitto e la Tunisia, e 137 verso la Nigeria attraverso voli congiunti con gli altri Stati membri Una valida alternativa ai rimpatri coatti, secondo la Commissione diritti umani è quella del rimpatrio volontario assistito, ovvero la possibilità per il migrante di ricevere aiuto per ritornare in modo volontario e consapevole nel proprio paese di origine in condizioni di sicurezza e con un'assistenza adeguata. Nel 2015 hanno avuto accesso a questo programma 411 persone.
“Questa misura potrebbe essere accessibile a chi è trattenuto stabilendo un termine per lasciare volontariamente l’Italia (periodo che varia tra i 7 e i 30 giorni) – si legge nel rapporto – Per incentivare il ricorso alla procedura, sarebbe opportuna l'introduzione della revoca del divieto di reingresso (attualmente dai 3 ai 5 anni) per gli stranieri irregolari che collaborino alla loro identificazione e al rimpatrio”.

Dagli apolidi agli ex detenuti: ecco chi è trattenuto nei Cie.
La Commissione traccia un bilancio anche della presenza all’interno dei centri di identificazione. Oltre a coloro che vengono trasferiti dai luoghi di sbarco, infatti, nei centri finiscono quanti non hanno un valido permesso di soggiorno in Italia: chi non lo ha mai avuto e chi non riesce a rinnovarlo, anche se è nato in Italia o è giunto da bambino. Ma anche ex detenuti, apolidi, e richiedenti asilo che non hanno presentato la domanda al momento dell’arrivo in Italia.
“All’interno dei centri finiscono anche persone che da molti anni vivono insieme alle loro famiglie in Italia, (dove hanno sede i loro affetti e interessi), e che non hanno più alcun legame con i loro paesi di origine – si legge – La reclusione per queste persone si rivela inutile poiché esiste una oggettiva difficoltà a identificarle, e diviene lesiva del diritto all’unità familiare dei migranti e dei loro congiunti. Si tratta di persone inespellibili che in alcuni casi sono già state trattenute senza essere rimpatriate. Quest'ultima situazione è quella che si verifica nella maggior parte dei casi con i rom che concludono il periodo di trattenimento senza che venga disposto il ritorno nel paese di origine, non riuscendo a regolarizzare la loro posizione giuridica in Italia”.
Una delle soluzioni possibili, in questo caso è la richiesta dello status di apolide, ma è molto difficile attualmente riuscire a completare la procedura. Sul riconoscimento dello status di apolide e sulla semplificazione della procedura d'accesso ha lavorato la Commissione, in collaborazione con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati e il Consiglio italiano per i rifugiati, elaborando un disegno di legge che è stato presentato alla fine di novembre 2015.

Più attenzione alle vittime di tratta.
Infine, dopo il contestato caso delle donne nigeriane rimpatriate dal Cie di Ponte Galeria, la Commissione raccomanda un rafforzamento della capacità di accoglienza delle vittime di tratta, in particolare di coloro che vengono individuate come tali già al momento dello sbarco. Questo passo consentirebbe di assicurare un’immediata protezione alle vittime e di poterle allontanare dagli sfruttatori, spesso a bordo degli stessi barconi.
Nel corso del 2015, secondo le stime dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), si è verificato un incremento esponenziale di arrivi via mare di donne africane, provenienti in modo particolare dalla Nigeria: a fine settembre 2015 sono state 4.371.
Alcune di queste donne, potenziali vittime di tratta e di sfruttamento sessuale, sono state poi trattenute nei Cie italiani senza poter avere accesso al circuito di protezione per le donne vittime di tratta. La Commissione si sofferma anche sui tempi del trattenimento, che prima (grazie a un emendamento Manconi-Lo Giudice) erano stati ridotti a 90 giorni e che oggi sono stati allungati a 12 mesi (in alcuni casi specifici) chiedendo che si torni al limite massimo di 3 mesi.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)