Padova Accoglie: «Più chiarezza sull'iter di riconoscimento dello status di rifugiati»

Un presidio in piazza Antenore per chiedere più trasparenza sull'operato della commissione territoriale che ha il compito di accogliere o rifiutare le domande di asilo politico. Tra giubbotti di salvataggio e striscioni contro le nuove barriere, l'organizzazione Padova Accoglie si domanda: «Che differenza c'è tra chi fugge dalla guerra, dalla fame o dal clima?». All'interno, le foto della manifestazione

Padova Accoglie: «Più chiarezza sull'iter di riconoscimento dello status di rifugiati»

Due file di giubbotti di salvataggio avvolgono le colonne della tomba di Antenore: è un’emulazione, in piccolo, dell’installazione realizzata dall'artista cinese Ai Weiwei al Konzerthaus di Berlino, una paio di settimane fa. Ha utilizzato 14mila salvagente recuperati dall'isola di Lesbo, unico oggetto di speranza per migliaia di migranti che salpano su carrette improvvisate. L’intenso colore arancione dei giubbotti è un colpo d’occhio durante il presidio, promosso da Padova Accoglie martedì scorso, per chiedere trasparenza e informazioni sulle attività della Commissione territoriale protezione internazionale di Padova.
Attiva dai primi mesi del 2015, la commissione ha il compito di riconoscere o negare lo status di rifugiato, ma l’unico dato finora rilasciato è datato 10 settembre 2015: delle 634 domande esaminate ben 454 sono state rigettate. Quali sono i parametri di selezione? Quali qualifiche hanno i componenti? Sono alcune domande che le organizzazioni rivolgono alla prefettura.

Fuggire dalla dittatura non basta: un solo gambiano su 28 accettato
«Il Gambia è da 20 anni sotto dittatura feroce – racconta Stefano Ferro, tra i promotori di Padova Accoglie - e chi torna in patria, dopo esser scappato cercando asilo politico, o sparisce o subisce torture. Allora perché su 28 domande di gambiani solo una è stata accolta?». Mentre la piazza si riempie di striscioni che chiedono l’abbattimento dei muri, alcuni ragazzi affiggono dei manifesti con delle bandiere di Nazioni africane: «Sono solo alcuni paesi dai quali provengono i ragazzi che si vedono negare l’asilo politico - spiega Enrica di Libera la parola - Sono riportare le “recensioni” negative di Amnesty International e di Viaggiare Sicuri, sito del ministero degli esteri: sconsigliano a noi italiani di andare in questi posti, ma se è pericoloso per chi viaggia, pensiamo a quanto può esserlo per chi ha passato una vita intera».

«Italiani, in passato, emigrati per la fame; perché noi non accogliamo chi scappa dalla miseria?»
Scopo della commissione è indagare minuziosamente sul passato del richiedente tra possibili persecuzioni, viaggi su barconi, bombe e torture. Ci sono dei paletti ben precisi: chi scappa dalla miseria e dalla fame, per esempio, non ottiene la protezione. Una distinzione che Stefano definisce “ingiustificabile”: «Noi abbiamo mandato 25 milioni di italiani in giro per il mondo per la fame, solo dal Veneto sono partiti cinque. Chi, fuggendo dalla propria terra, è stato costretto a fermarsi in Libia sotto minacce per racimolare qualche guadagno per ripartire, perché non viene considerato profugo?»

Essere clandestini, pur avendo un lavoro in regola
E’ una situazione beffarda e spigolosa: dopo un viaggio estenuante, attraversando il deserto o il mar Mediterraneo, l'ultima prova da superare per chi fugge è un colloquio con un funzionario che decide arbitrariamente sul suo destino. In piazza, in attesa di scoprire quale sarà il proprio futuro, alcuni ragazzi osservano in silenzio, altri chiacchierano o danno una mano coi cartelloni. Non hanno voglia di raccontare la loro storia, ma è ancora Stefano a denunciare le contraddizioni di un sistema che parla sempre e solo di “emergenza”: «Un gambiano, arrivato a Padova due anni fa, ha trovato un lavoro a tempo indeterminato, ma la sua domanda non è stata accolta. Se dovesse perdere il ricorso verrebbe marchiato come clandestino e la cooperativa per la quale lavora dovrà licenziarlo. Invece di accoglierli e capire che noi abbiamo bisogno di loro, si crea un effetto contrario che li spinge a chi ha  sempre le braccia aperte: la criminalità e lo spaccio di droga».

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