La porta stretta. Per entrare nella vita di Dio, nella salvezza, bisogna passare attraverso di lui, non di un altro

Quella del cristiano, afferma ancora Francesco, è una vita “a misura di Cristo, fondata e modellata su di lui”, sul suo Vangelo.

La porta stretta. Per entrare nella vita di Dio, nella salvezza, bisogna passare attraverso di lui, non di un altro

“Signore, sono pochi quelli che si salvano?” Ancora una volta una domanda lungo il cammino che lo porterà a vivere la sua Pasqua a Gerusalemme. Ma ciò che salta subito agli occhi, nel brando di Luca di questa domenica, è l’immagine che diventa risposta: la porta stretta attraverso cui passare. La domanda è posta nello stile tipico delle dispute tra scuole di rabbini di diverso orientamento, e viene posta in termini volutamente astratti. Chiedere quanti saranno coloro che si salveranno, nasconde la convinzione di poter stabilire criteri, confini riguardo alla salvezza e al giusto rapporto con Dio. La risposta di Gesù va contro chi pensa in questo modo per poter decidere chi sta dentro e chi è fuori, chi ha torto e chi ha ragione. Gesù non risponde offrendo cifre né elencando regole cui attenersi, ma spiazza l’interlocutore con la logica della misericordia: vi sono ultimi che saranno primi e primi che saranno ultimi. È il messaggio che torna più volte nei racconti degli evangelisti, è quell’andare contro corrente, non cedere alle mode del tempo; messaggio che sintetizza la predicazione delle beatitudini e invita a scoprirsi fratelli nonostante le differenze.

La sua risposta è soprattutto in quella porta stretta: “molti cercheranno di entrare ma non ci riusciranno”. La porta è sì stretta, ma non si tratta di “un’immagine che potrebbe spaventarci come se la salvezza fosse destinata solo a pochi eletti o ai perfetti” dice Papa Francesco all’Angelus. Infatti, Luca chiarisce bene il concetto: “verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi”.

Cosa significa, allora, la porta stretta. Chi è stato al monastero di Santa Caterina sul Sinai – o a Gerusalemme è entrato nel sepolcro di Gesù nella basilica – ha ben presente quella piccola porta attraverso la quale si accede. Voluta così per impedire, ad esempio, che si entrasse a cavallo, con le armi. In sostanza bisognava spogliarsi di tutto ciò che connotava l’identità del cavaliere e del guerriero. La porta stretta è, dunque, invito a spogliarsi delle “armi” dell’orgoglio, è fatica e lotta personale. Ma è porta aperta a tutti.

Così Francesco ricorda il Vangelo di Giovanni – Gesù che dice “io sono la porta: se uno entra attraverso di me sarà salvato” – per affermare che “per entrare nella vita di Dio, nella salvezza, bisogna passare attraverso di lui, non di un altro; accogliere lui e la sua Parola”. Quella del cristiano, afferma ancora Francesco, è una vita “a misura di Cristo, fondata e modellata su di lui”, sul suo Vangelo, “non quello che pensiamo noi, ma quello che ci dice lui. Si tratta di una porta stretta non perché sia destinata a pochi, ma perché essere di Gesù significa seguirlo, impegnare la vita nell’amore, nel servizio e nel dono di sé come ha fatto lui, che è passato per la porta stretta della croce. Entrare nel progetto di vita che Dio ci propone, chiede di restringere lo spazio dell’egoismo, di ridurre la presunzione dell’autosufficienza, di abbassare le alture della superbia e dell’orgoglio e di superare la pigrizia per attraversare il rischio dell’amore, anche quando comporta la croce”.

Una vita fatta di gesti concreti, gesti d’amore: “pensiamo ai genitori che si dedicano ai figli facendo sacrifici e rinunciando al tempo per sé stessi; a coloro che si occupano degli altri e non solo dei propri interessi” dice Papa Francesco. “Pensiamo a chi si spende al servizio degli anziani, dei più poveri e dei più fragili; pensiamo a chi va avanti a lavorare con impegno, sopportando disagi e magari incomprensioni; pensiamo a chi soffre a motivo della fede, ma continua a pregare e ad amare”, a coloro che “rispondono al male con il bene, e trovano la forza di perdonare e il coraggio di ricominciare”.

Qui il pensiero, nel dopo Angelus, va alla chiesa del Nicaragua dove sono stati arrestati il vescovo di Matagalpa insieme a sacerdoti, seminaristi e laici. Il Papa esprime “preoccupazione e dolore” e auspica “un dialogo aperto e sincero”, attraversi il quale “si possano ancora trovare le basi per una convivenza rispettosa e pacifica”. Senza dimenticare il popolo ucraino che “sta vivendo un’immane crudeltà”.

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Fonte: Sir