Mondragone. Don Morelli (parroco): “Di fronte al degrado le coscienze sono addormentate”

Mondragone, in provincia di Caserta, è da giorni sotto i riflettori per la scopera di un focolaio di coronavirus. L'emergenza, però, ha scoperchiato una realtà difficile dove ci sono famiglie bulgare di etnia rom che vivono in condizioni ai limiti: le donne nei campi lavorano tutto il giorno per 1,5/2 euro all'ora, gli uomini passano la giornata in strada senza far niente, i bambini non frequentano la scuola. "Noi - ci racconta don Osvaldo Morelli, che è anche il direttore della Caritas diocesana di Sessa Aurunca - siamo gli unici che dialoghiamo con loro, li accogliamo a mensa e li aiutiamo. Gli altri sanno, ma fanno a scaricabarile sulle responsabilità"

Mondragone. Don Morelli (parroco): “Di fronte al degrado le coscienze sono addormentate”

Degrado, povertà, sfruttamento, tensioni sociali: la scoperta di un focolaio di Covid-19 a Mondragone, in provincia di Caserta, nella comunità bulgara di etnia rom ha messo a nudo tutto questo, anche se la situazione di invivibilità ormai va avanti da una decina di anni, eppure, come ci racconta don Osvaldo Morelli, parroco di San Rufino e direttore della Caritas diocesana di Sessa Aurunca, tutti se ne lavano le mani, scaricando le responsabilità sugli altri.

“Forse siamo gli unici che dialoghiamo con i rom provenienti dalla Bulgaria, ora al centro delle polemiche e dell’attenzione generale per il Covid-19.

Io sto in questa parrocchia da 5/6 anni. Qui abbiamo la mensa diocesana: offriamo 80 pasti al giorno. Queste persone vengono a bussare alla comunità, l’unico luogo dove trovano un po’ di comprensione e di ospitalità”, ci racconta don Osvaldo. “Noi diamo un pasto dal lunedì al sabato: la maggior parte di coloro che vengono sono bulgari, alcuni sono musulmani, altri ortodossi e altri ancora gnostici.

Noi accogliamo tutti.

Nella maggior parte nei palazzi ex Cirio (dov’è stato scoperto il focolaio, ndr) vivono bulgari di etnia rom, ma qui a Mondragone vivono anche in altre case, sempre situate nel territorio della mia comunità parrocchiale, che è abbastanza grande e si trova vicino al mare. Sono in tutto il territorio circa 700. Alcuni sono stabili, ma altri sono stagionali e vengono in questo periodo di maggior lavoro sui campi, come la ragazza incinta che è risultata positiva al coronavirus”. La parrocchia distribuisce anche pacchi viveri. “Quando vengono alla mensa – dice il parroco – cerchiamo di educarli, in quell’oretta che trascorrono da noi, a rispettare le regole, in questo periodo anche a mettere la mascherina, a lavarsi le mani, a misurare la febbre, in generale al rispetto dell’altro e all’accoglienza, a pregare ciascuno per la sua fede, ma

è difficile entrare in colloquio, vengono da noi solo per chiedere e usufruire dei servizi che offriamo: il centro di ascolto, il consultorio familiare, le consulenze mediche”.

La Caritas ha anche promosso un corso di alfabetizzazione con la scuola invitando gli stranieri a partecipare per imparare l’italiano, però “i bulgari hanno partecipato solo in 2 o 3”.

I bulgari sono comunitari, quindi non hanno il problema della regolarizzazione, ma le loro condizioni di vita sono ugualmente precarie: “Fanno lavori irregolari – spiega don Morelli -. Per la precisione,

nei campi come braccianti lavorano solo le donne, dalla mattina alla sera, nelle zone limitrofe di Mondragone, Castelvolturno, dell’Agro Casertano; sono sottopagate: prendono 1,5/2 euro all’ora. Gli uomini, invece, passano le giornate in piazza senza far niente. Questo fa parte della loro cultura.

La preoccupazione immediata di queste famiglie è pagare il fitto. Molte vivono anche in baracche sul mare. Siamo andati anche da loro per assistere qualcuno e portare il necessario. Nelle case, piccole, fatiscenti e spesso inagibili, abitano anche 10 persone. I fitti sono in nero e spesso gli inquilini subaffittano. Malgrado le condizioni di degrado, stanno bene qua; quanto guadagnano è molto di più di quello che potrebbero racimolare in Bulgaria”. Qualche anno fa è scoppiato anche “lo scandalo della prostituzione di giovani bulgari: stanno la giornata a non far niente e quindi cercano di guadagnare qualcosa anche così”. Ancora:

“Tra i più piccoli è fortissima la dispersione scolastica:

abbiamo interpellato il comune, ma ci hanno risposto che questi bambini sono iscritti a scuola in Bulgaria, quindi non possono essere costretti a frequentare qua. Così passano la giornata a ciondolare e a combinare guai: le mamme lavorano tutto il giorno, i papà li abbandonano al loro destino. Vengono sempre nel campetto della parrocchia, ma distruggono un po’ tutto”. Poi, “alcuni rom sono dediti anche ai furti. A capo del malaffare ci sono bulgari stessi, ma, come ha detto il vescovo, probabilmente ci sono anche connessioni con la camorra”.

Insomma, denuncia il direttore della Caritas, “una situazione di grande degrado che va avanti da oltre 10 anni: tutti sanno come vivono, le difficoltà in cui versano, ma le istituzioni, la politica e anche i sindacati se ne lavano le mani facendo da scaricabarile sulle responsabilità.

Le coscienze sono proprio addormentate rispetto a tale situazione”.

A novembre scorso “abbiamo organizzato in parrocchia un convegno sul caporalato, ma le risposte sono state pochissime”. Il sacerdote ribadisce: “Siamo gli unici a entrare in un minimo di rapporto e dialogo con queste persone. Manca la sinergia di tutte le forze presenti nel territorio per fare qualcosa: la Chiesa, le istituzioni, i sindacati.

La Chiesa è l’unica ad agire, ma da sola può fare poco.

Non ci siamo mai seduti intorno a un tavolo per discutere, pianificare qualcosa, studiare una strategia, capire come entrare in dialogo con loro e come aiutarli”.
In realtà, ricorda il parroco,

“non ci sono neppure rapporti con gli abitanti locali di Mondragone. I bulgari rom sono prepotenti, non hanno regole, urinano in mezzo alla strada, dove lasciano pure bottiglie di vino e immondizia: per questo modo di vivere è nata una forma di astio da parte degli italiani, che sono stufi dopo 10 anni.

Ora la situazione con il Covid-19 si è aggravata, c’è anche grande paura del contagio, tanto che la parrocchia, che è attaccata ai palazzi ex Cirio, si è un po’ spopolata”.

Le tensioni, dunque, non mancano: “Mondragone è sempre stata una città accogliente. Prima dei bulgari sono stati qui rumeni, ucraini, polacchi e sono sempre stati accolti bene, ma con i bulgari diventa difficile, non si sforzano nemmeno di imparare l’italiano. Anche in mensa comunichiamo a gesti o magari c’è qualcuno che sa l’italiano che fa da traduttore. Infatti, ci sono due o tre bulgari bravi che vengono ad aiutarci anche nella Caritas per preparare i pacchi”. Don Osvaldo conclude:

“Mondragone ha una vocazione turistica, ma la presenza di queste persone ha danneggiato l’immagine della città per il degrado che hanno portato”.

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Fonte: Sir