Nonni e anziani. Comunità Papa Giovanni XXIII: “La solitudine può uccidere, la cura è tanto amore”

La pandemia non solo ha messo a rischio l’incolumità di coloro che sono più avanti negli anni, ma ha anche peggiorato le loro condizioni psicologiche. Aggravamento della demenza e depressione i due frutti più evidenti. Le parole di chi nell’Apg23 si occupa delle persone che si trovano ad affrontare l’ultimo tratto della loro vita

Nonni e anziani. Comunità Papa Giovanni XXIII: “La solitudine può uccidere, la cura è tanto amore”

Tanti anziani “se ne sono andati” per il Covid “o hanno visto spegnersi la vita dei propri sposi o dei propri cari, troppi sono stati costretti alla solitudine per un tempo lunghissimo, isolati”. Lo scrive Papa Francesco, nel messaggio per la prima Giornata mondiale dei nonni e degli anziani, che si celebra oggi, domenica 25 luglio. Di “solitudine che spegne la voglia di vivere” parlano Lea Tobia e Daniela Drei, responsabili per gli anziani della Comunità Papa Giovanni XXIII. La risposta sono l’amore e l’accoglienza.

“A Rimini – ci dice Lea Tobia – abbiamo un centro ricreativo che per la pandemia è stato chiuso, purtroppo non siamo riusciti più a ripartire, perché eravamo ospitati in un locale di una parrocchia che non è idoneo, oggi, alla luce delle misure anti Covid. Per la Giornata mondiale dei nonni e degli anziani, lunedì 26 luglio, nel pomeriggio, andremo sulla tomba di don Oreste Benzi dove reciteremo un rosario, coinvolgendo anche giovani, bambini, famiglie. Le meditazioni saranno ispirate al messaggio di Papa Francesco. Seguirà un’apericena dedicata ai nonni in una nostra colonia al mare, con un momento di festa a cura di ragazzi di Reggio Emilia. Domenica 25 invece parteciperemo alle attività promosse nelle parrocchie della diocesi”. Lea afferma:

“Gli anziani hanno sofferto molto la solitudine.

L’anno scorso, nel periodo di lockdown duro, abbiamo mantenuto le relazioni attraverso il telefono con i nostri quindici nonni, certo in questo tempo c’è stato chi si è aggravato per la solitudine o per la malattia. Una di loro, di 96 anni, a maggio 2020 è deceduta. Viveva da sola e il lockdown per lei è stato terribile: la sofferenza e la solitudine pian piano hanno spento il suo cuore. I nostri anziani aspettavano con ansia il momento di venire al centro ricreativo, il giovedì, mentre in un altro giorno a settimana andavamo a trovarli a casa. Per molti di loro, senza familiari vicini, quelli erano momenti importantissimi. Il nostro centro ha una storia di trent’anni, quindi tra molti di loro si erano creati legami forti di amicizia tanto da andare anche in vacanza insieme”. Secondo Tobia,

“tutto questo periodo ha aggravato le condizioni dei nostri nonnini, con un aumento di demenza e depressione”.

Nella Comunità Papa Giovanni XXIII ci sono “parecchie case famiglia che accolgono anziani. E tante famiglie dell’Apg23 stanno accogliendo i loro familiari anziani. Quando si accoglie un anziano è bello, importante, ma c’è anche un carico per chi accoglie non indifferente, quindi abbiamo valutato di attivare dei gruppi di auto-mutuo aiuto, con una psicologa che li segue on line. Puntiamo anche alla formazione: abbiamo pensato a un ciclo di 5 incontri con esperti che ci faranno conoscere il mondo degli anziani, dei servizi, dei bisogni dei caregiver”.

“Purtroppo a gennaio alcuni anziani della Casa dei nonni hanno contratto il Covid e abbiamo dovuto chiudere per un periodo. Due sono morti per le conseguenze, avendo patologie precedenti – ci racconta Daniela Drei, coordinatrice della Casa dei nonni a Forlì -. Quando abbiamo potuto riaprire, lo abbiamo fatto con gruppi con un massimo di dieci anziani. Ora sono tutti vaccinati, come noi operatori, e il numero è un po’ aumentato. Noi siamo aperti tutta la settimana, dal lunedì al venerdì, dalle 8,30 alle 17, anche con servizio di trasporto. All’interno usiamo le mascherine, con grandi cautele. L’estate aiuta perché possiamo fare anche attività all’aperto e molte passeggiate. Nel 2021 è nato un progetto insieme con un’associazione di medici di Forlì, ‘Salute e solidarietà’, che istruiscono alcuni volontari a fare degli esercizi morti specifici su ogni anziano”. Quest’estate, aggiunge, “chiuderemo la Casa dei nonni solo per una settimana. Infatti, gli anziani arrivano qui con forme di depressione o di aggravamento dovuti alla solitudine e

vediamo una grande fatica da parte delle famiglie.

In tanti ci chiamano per chiedere un consiglio: siamo un ponte tra le famiglie e il servizio sociale”.

Una famiglia aperta all’accoglienza, non solo di minori. È il caso di Valeria Miele e Hiessel Parra di Rimini. Dopo il matrimonio e la nascita di due figli, iniziano ad accogliere ragazzi, ma, dopo un po’, prima è arrivato “nonno Angelo, che il Signore si è portato via dopo pochi anni intensi di vita con noi, poi Beppe che è entrato con la sua carrozzina, le sue sigarette e la rabbia per una vita molto vissuta e una malattia che gliela stava cambiando. Col tempo la carrozzina ha lasciato posto a un bastone, alla ripresa di una vita sociale, un impegno in un centro occupazionale, qualche cena con gli amici e soprattutto a una certezza: avere una famiglia da amare e da cui sentirsi amati. Econ lui i nostri figli (di pancia e di cuore) hanno imparato a crescere nel rispetto delle sue fragilità, nella fatica per le attenzioni da avere, ricevendo e arricchendosi della sua presenza e della sua esperienza.

Raccogliere i giochi fra una lamentela e l’altra perché Beppe non inciampi, portargli la colazione a tavola perché non ce la fa a camminare”, “ascoltare i suoi racconti di gioventù, le perle di saggezza e i consigli dati dall’alto di una vita vissuta”. Ma “quanta ricchezza anche per lui nell’imparare dai bambini un nuovo gioco da tavola, i personaggi di un nuovo cartone animato, i nomi e le abitudini di un nuovo compagno di classe. E da parte sua la soddisfazione di insegnare ai bambini un trucco con le carte, alle ragazze più grandi la bellezza delle tradizioni, a papà un segreto del vecchio mestiere di imbianchino…

Uno scambio nel quale non si capisce mai chi più dona o più riceve”.

Massimo Santi e Silvia Bargossi hanno tre figli e gestiscono una casa famiglia a Gambellara, una piccola frazione di Ravenna, aperta ad adolescenti, mamme con bambini e soprattutto adulti. Nella loro casa famiglia, di proprietà della diocesi di Ravenna, hanno accolto anche i genitori. Prima, nel 2009 è stata la volta dei genitori di Massimo, dopo il ricovero in rianimazione della mamma, già obesa e diabetica. “Eravamo appena rientrati dalla Terra Santa, abbiamo dovuto ripensare il nostro stile di vita, mia suocera aveva bisogno di essere accudita – ricorda Silvia -. Il papà di mio marito, che se n’era occupato fino a quel momento, preservandoci in tutto, ha avuto un crollo e dopo due mesi è morto. La nostra vita nel giro di poco è stata stravolta, ma è stato bello perché la nostra famiglia è molto unita.
Abbiamo due figli più grandi e la più piccolina, che allora aveva 9 anni, è cresciuta con questo stile di vita di accoglienza dei più fragili.

Abbiamo accudito mia suocera per cinque anni, ha vissuto qui serenamente, fino al 2014 quando è morta”.

A dicembre 2015 la mamma di Silvia, 86 anni e già sofferente di fibrillazione atriale, viene ricoverata per una forte anemia, in ospedale ha avuto un ictus, che le ha lasciato gravi problemi di salute e anche di memoria. Alla fine del ricovero in un primo momento Silvia e le sue due sorelle tentano di accudirla a casa; a giugno 2016 insieme decidono che è meglio accoglierla nella casa famiglia a Gambellara. Malgrado le inevitabili difficoltà, “vedo mia mamma serena, tranquilla, inserita in un ambiente familiare.C’è stato un periodo che verso sera delirava, allora abbiamo iniziato a recitare insieme il rosario: è stata una medicina eccezionale, con la preghiera si rasserenava.Un medico molto bravo che è venuto a visitarla mi ha anche avvertito dell’importanza di avere cura di me stessa, perché se un caregiver sta male il primo a soffrirne è proprio il paziente accudito. Queste situazioni possono durare pochi mesi o molti anni, ma bisogna vivere questo tempo con una sufficiente serenità e una buona speranza.È bello crescere i bambini: in poco tempo si svezzano, camminano, è tutto un progresso e una meraviglia; con l’anziano ne vivi l’involuzione e devi saper affrontare la situazione. Per esempio, io vivo, ogni paio di mesi, un ritiro di un giorno in un monastero carmelitano: sono 24 ore di silenzio e preghiera, che mi danno il senso di quello che vivo, l’orientamento, mi portano alla bellezza di quello che vivo qui con mia madre.Oggi ha 91 anni e ogni giorno facciamo un passo indietro: ora non mi riconosce più”. Eppure, “questa esperienza ci ha dato il ‘privilegio’ di unirci ancora di più: sono situazioni che possono mettere a dura prova una famiglia, invece mio marito e i nostri figli mi coccolano molto, oltre a essere affettuosi con la nonna”. La mamma di Silvia è “sempre stata una persona solare. Ci raccontava che non ha potuto finire la quarta elementare perché tutti gli adulti lavoravano nei campi e lei accudiva la nonna, che viveva con loro ed era demente.Non ci ha mai raccontato la sua storia con risentimento e nemmeno per gloriarsi, ma come un fatto naturale, indicandoci la sacralità dell’anziano.

Mia madre ci ha trasmesso questo modo di sentire con la sua stessa vita.

Ora quello che facciamo per lei è anche un modo per restituirle quello che lei ha vissuto”.
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Fonte: Sir