Padre Scalese, unico prete cattolico in Afghanistan: “Pregate, pregate, pregate”

Il sacerdote barnabita dal 2014 vive nel Paese asiatico. Sotto la protezione dell’ambasciata italiana, è a capo della Missio sui iuris a Kabul: “Presenza tollerata, ma ci è proibito evangelizzare”. In aprile diceva: “Con il ritiro delle truppe Usa, rischio concreto di guerra civile”

Padre Scalese, unico prete cattolico in Afghanistan: “Pregate, pregate, pregate”

Stiamo vivendo giorni di grande apprensione in attesa degli eventi. Il mio appello è di pregare... Pregate, pregate, pregate per l'Afghanistan. Grazie”. L’appello, raccolto in un messaggio audio inviato a Radio Vaticana, è del padre barnabita Giovanni Scalese, alla guida della Missio sui iuris, presenza cattolica nel Paese asiatico. Padre Scalese si trova ancora a Kabul, la missione barnabita (fu papa Pio XI, nel 1931, ad affidare ai barnabiti la missione in Afghanistan, ndr) ha scelto di rimanere nella capitale caduta nelle mani dei Talebani. Romano di nascita, già parroco di San Paolo Maggiore a Bologna, è attualmente l’unico prete cattolico presente in Afghanistan, sotto la protezione dell’ambasciata italiana.

L’appello di padre Scalese è stato ripreso da 12porte, la trasmissione televisiva settimanale d’informazione della diocesi di Bologna: “Padre Gianni si trova ancora a Kabul e ci ha chiesto di invitare alla preghiera. Data la situazione, si teme per il futuro di questa minuscola presenza cristiana. Il Cardinale Arcivescovo ha inviato con un messaggio a padre Scalese la solidarietà e la vicinanza della diocesi di Bologna”. Padre Scalese, 66 anni domani, è in Afghanistan dal novembre 2014 e a Kabul da gennaio 2015: una presenza diventata punto di riferimento per cittadini stranieri, funzionari, militari. “La presenza del luogo di culto cattolico – spiega 12porte – era tollerata nel Paese, ma con la stretta proibizione di svolgere attività di evangelizzazione tra gli afghani. Due comunità di religiose fanno parte attualmente della piccola Chiesa cattolica afghana”.

Lo scorso 16 aprile, interpellato dalla Sir (Agenzia di informazione Servizio informazione religiosa, nata nel 1988 per iniziativa della Federazione Italiana Settimanali Cattolici e con il sostegno della Cei, ndr), aveva espresso la sua posizione a proposito della decisione del ritiro delle truppe Usa, definita “scelta che mette a rischio la sicurezza del Paese. Il rischio guerra civile è dunque concreto e dovuto anche al fatto che finora le trattative fra il Governo e i talebani, previste dagli accordi di Doha del 29 febbraio 2020 tra Usa e talebani, non sono mai partite seriamente o comunque non hanno portato ad alcun risultato. Il progetto era quello di formare un governo di transizione, di unità nazionale, per poi giungere a libere elezioni che avrebbero deciso chi dovesse governare. Ma se le parti non si parlano, come si può formare insieme un governo? Molto più facile far parlare le armi”. Aggiunse poi: “Anche se i talebani dovessero avere il sopravvento, perché meglio organizzati e finanziati, non credo che possano illudersi di restaurare l’Emirato islamico, come se questi vent’anni non fossero esistiti. Potranno pure imporre una nuova Costituzione – del resto, l’attuale Costituzione prevede già una ‘Repubblica islamica’ – ma non potranno pretendere di cancellare le libertà o ignorare i diritti a cui gli afghani, in questi anni, si sono abituati
Non dimentichiamo che i giovani non hanno conosciuto l’Emirato e sono cresciuti in questa nuova realtà. Le donne, contrariamente a quel che si pensa, sono una presenza numerosa, qualificata e attiva nella società afghana; sarebbe impensabile volerle rinchiudere di nuovo in casa o dentro un burka”.

Nel 2015, a passare il testimone a padre Scalese, dopo 18 anni, fu il sacerdote recanatese Giuseppe Moretti che, intervistato oggi dal Resto del Carlino di Macerata, racconta: “Ho parlato stamane (ieri, ndr) con padre Scalese. Si trova sempre in ambasciata. L’ambasciatore è partito, ma lui è voluto rimanere, in attesa di partire insieme alle suore di madre Teresa e a un gruppo di bambine con disabilità: è il pastore che non lascia le pecore, finché queste non sono poi al sicuro”. Padre Moretti ha fondato una scuola a Tangi Kalay, sopra Kabul. L’ha chiamata “Scuola di pace”, ospita 2.500 bambini dalle elementari fino al liceo, maschi e femmine. “Due anni fa – spiega ancora al Carlino – sono tornato a Kabul proprio per andare a vedere la scuola, ma non sono riuscito a visitarla per ragioni di sicurezza. Già allora Kabul era come una fortezza e anche la nostra ambasciata era circondata da mura e da torrette. Anche padre Scalese, uscendo dall’ambasciata, poteva soltanto percorrere cinquecento metri per andare a celebrare la messa agli italiani presenti nel centro della Nato e quindi ritornava sempre sotto scorta fino all’ambasciata”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)