Salmo 112. L’uomo beato, grazie al suo essere immerso nell’amore per il Padre, riesce ad accogliere il mistero dell’incarnazione

Il cuore dell’uomo beato, proprio come Giuseppe, è un cuore semplice e unificato che guardando il Padre in suo figlio bambino e poi ragazzo e giovane vede e sente l’amore del Dio.

Salmo 112. L’uomo beato, grazie al suo essere immerso nell’amore per il Padre, riesce ad accogliere il mistero dell’incarnazione

“Beato l’uomo che teme il Signore nei suoi precetti trova grande gioia. Potente sulla terra sarà la sua stirpe la discendenza degli uomini retti sarà benedetta. Prosperità e ricchezza nella sua casa, la sua giustizia rimane per sempre. Spunta nelle tenebre, luce per gli uomini retti: misericordioso, pietoso e giusto. Felice l’uomo pietoso che dà in prestito, amministra i suoi beni con giustizia. Egli non vacillerà in eterno: eterno sarà il ricordo del giusto” (Sal 112, 1-6). Come moltissimi salmi che abbiamo già letto, anche il Salmo 112 è spesso pregato dalla Chiesa, nella liturgia, come una “beatitudine sapienziale” riferita a Gesù Cristo e quindi potremmo porre mente in ogni verso direttamente al Signore, perché è come se venisse tratteggiata quella che i medievali chiamano imitatio Dei; e chi di noi non ha tenuto, almeno una volta, fra le mani quel piccolo gioiello di fede che è L’imitazione di Cristo? Oggi, però, concedetemi di approfittare di quelle che ho preso l’abitudine di considerare “Dio-incidenze”: questo commento appare il giorno in cui – per lo slittamento domenicale – i cattolici di tutto il mondo lodano il Signore per il dono grande di San Giuseppe: il giusto per eccellenza fra i nati di donna! Spero di non essere, dunque, eterodosso nell’accostare almeno alcuni degli attributi che vengono delineati nell’uomo protagonista del salmo al padre putativo di Gesù. L’uomo beato che, grazie al suo essere pienamente immerso nell’amore confidente per il Padre – questo è il timore, mai la paura! – riesce, nella sua grande fede, ad accogliere il mistero dell’incarnazione di Dio nel ventre della donna che ama. Un evento unico nella storia, che salva l’umanità per sempre, un evento epocale, indicibile, che nei secoli è contemplato come iscritto da sempre nel progetto eterno di Dio… questo stesso evento, la nascita di un bambino, viene assunta, nel silenzio, nella mansuetudine, nel discernimento di un uomo, fatto di carne, di emozioni, di sentimenti. Un piccolo, grandissimo uomo, un giusto di Israele, che ha creato così tanto spazio puro nel suo cuore da essere scelto come padre del Figlio. Echeggiando il verso ineffabile di Dante per la Vergine Maria, anche Giuseppe potrebbe dirsi “Padre di suo Padre”. La sua è una paternità adottiva, non biologica, ma così di totale donazione, così densa di tenerezza e saggezza che da sempre ispira e nutre la paternità fisica di ogni papà in ogni tempo e spirituale di ogni sacerdote che ama i figli di Dio affidati alla sua guida. Ecco allora che nella casa di quest’uomo brillano prosperità e ricchezza, anche se da sempre abbiamo imparato – e i dati storici non lo contraddicono – che a Nazareth il papà di Gesù, pur di stirpe regale, pur discendente del grande Davide, il Re d’Israele per eccellenza, non faceva altro che il carpentiere, il falegname. Si guadagnava il pane quotidiano con la fatica umile e feriale gi tanti giorni uno in fila all’altro. E quante volte avrà insegnato a pregare a quel ragazzo che “cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2, 52)? Quanto è misterioso questo disegno: Gesù bambino impara lo Shemà Israel-l’ascolta, Israele (Dt 6, 4-9) da suo padre Giuseppe. Il Figlio di Dio, Dio Egli stesso, sceglie la strada dell’educazione paterna, del sussurrare all’orecchio e ripetere insieme, guardando le stelle, la strada per insegnare la preghiera. Così, infatti, Giuseppe avrà insegnato a parlare e a pregare a quel figlio che non è mai stato suo, eppure ha amato come forse solo Maria ha saputo fare di più. La giustizia di cui parla il salmo nella casa di Nazareth è un respiro, quasi l’alito che i tre si trasmettono con lo sguardo e le parole. Dove se non a casa, dai suoi genitori, in quei trent’anni di vita domestica, Gesù ha maturato la radicale presa di coscienza che il compimento della Legge, che lui stesso incarna, era ed è donarsi interamente ai fratelli: amarli fino alla fine, come lui farà sulla Croce e ogni volta che spezziamo il pane e beviamo il vino? Giuseppe era felice di prestare, di donare, ha mostrato al figlio che gli cresceva a fianco che essere fedele al Signore porta ad una vita bella, buona e felice. Non c’era malinconia nel cuore di Giuseppe, non c’era rimpianto nella sua verginità divenuta castità per il Regno dei cieli: quell’uomo era tutto per sua moglie e suo figlio ed ancora oggi ci indica una via luminosa che “spunta nelle tenebre” (v. 4) per tutti, ma in special modo per chi ha la responsabilità di trasmettere ai figli la gioia di vivere, molto prima e molto più che i mezzi economici o pratici per la sussistenza. “Cattive notizie non avrà da temere, saldo è il suo cuore, confida nel Signore. Sicuro è il suo cuore, non teme, finché non vedrà la rovina dei suoi nemici. Egli dona largamente ai poveri, Sade la sua giustizia rimane per sempre, la sua fronte s’innalza nella gloria” (vv. 7-9). Ecco, ancora, il cuore dell’uomo beato, proprio come Giuseppe, è un cuore semplice e unificato che guardando il Padre in suo figlio bambino e poi ragazzo e giovane vede e sente l’amore del Dio, Padre di tutti e vivendo di questo amore, non può che a sua volta donarlo attraverso una costante attitudine alla prossimità, alla sollecitudine nei confronti di tutti i fratelli incontrati per la strada. Forse eccedo in immaginazione, ma mi figuro che la casa di Giuseppe, Maria e Gesù – piccola o grande – fosse sempre aperta, con il fuoco della cucina pronto a riaccendersi e qualcosa da mangiare a portata di mano, anche se semplice e senza pretese. Forse in paese ancora qualcuno è diffidente nei confronti di quella famiglia creatasi in modo così lontano dai canoni di un’ortodossia troppo stretta per l’eccedenza di Dio, ma anche da fuori, magari clienti e famiglie incontrate nel loro lavoro, la famiglia di Nazareth è un punto di riferimento, un’icona trinitaria, la prima chiesa domestica, un luogo dello Spirito in cui giustizia e pace già si baciano prefigurando la pienezza del Regno.

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Fonte: Sir