Salmo 32. Un appassionato ringraziamento a Dio per essere stati perdonati

C’è una prima e fondamentale dimensione da riconquistare: ammettere di essere fragili, di aver sbagliato e di aver bisogno di aiuto.

Salmo 32. Un appassionato ringraziamento a Dio per essere stati perdonati

Noi non sappiamo più perdonare, o meglio: non siamo consapevoli che la remissione dei peccati sia il primo e forse più grande miracolo che Gesù compie incontrando gli uomini e che continuamente realizza attraverso la sua morte e Resurrezione. Ma questa dimensione di salvezza che noi, come figli perdonati, abbiamo ricevuto una volta per tutte sulla Croce, non sappiamo “spezzarla”, condividerla, farla nostra per i fratelli, come invece recitiamo ogni volta che pronunciamo il Padre Nostro: “rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Questa chiave di volta della vita cristiana ha origini antiche e le ritroviamo nel salmo 32 che è un appassionato ringraziamento a Dio per essere stati perdonati. “Beato l’uomo a cui è tolta la colpa e coperto il peccato. Beato l’uomo a cui Dio non imputa il delitto e nel cui spirito non è inganno” (vv 1-2). Il Signore non gode della nostra caduta, non ci mette alla prova come un tiranno beffardo che trova soddisfazione nel constatare la nostra debolezza; no, egli “copre”, ovvero, potremmo anche dire che cancella il mio errore, a patto che io sia onesto e non cerchi di ingannarlo. Lo abbiamo ascoltato icasticamente anche durante la liturgia eucaristica di ieri, grazie alla meravigliosa “contrattazione” in cui Abramo intercede presso Dio per la salvezza dei sodomiti fino all’esasperazione e riuscendo, sembrerebbe (!), a piegare la volontà del Signore che evidentemente non è il giudice inflessibile come noi spesso temiamo, confondendolo con le nostre limitate idee, tutte umane, di giustizia. Continua il salmista: “Tacevo e si logoravano le mie ossa, mentre ruggivo tutto il giorno. Giorno e notte pesava su di me la tua mano, come nell’arsura estiva si inaridiva il mio vigore”. Un verso adatto a questi giorni in cui anche chi di solito non soffre il caldo, sta boccheggiando incredulo, mentre i telegiornali sciorinano immagini desolanti del Po ridotto a una striscia di deserto e di incendi devastanti ovunque. L’arsura fisica porta a quella spirituale e il venir meno del vigore dei muscoli anticipa immediatamente il crollo dell’umore. C’è una prima e fondamentale dimensione da riconquistare: ammettere di essere fragili, di aver sbagliato e di aver bisogno di aiuto; che da soli non ci salviamo! “Ti ho fatto conoscere il mio peccato, non ho coperto la mia colpa. Ho detto: “Confesserò al Signore le mie iniquità” e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato” (vv. 4-5). Per questo ti prega ogni fedele nel tempo dell’angoscia”, o anche, si potrebbe tradurre: “nel tempo in cui ti fai trovare”. Come fare a rivolgersi a Dio, durante la prova? Spesso la paura è soverchiante, la mente è affollata di demoni e pensieri negativi che non lasciano spazio a nessuna invocazione. C’è bisogno di creare uno spazio di silenzio, di quiete, creare i presupposti per un discernimento, un ascolto autentico del disegno di salvezza di Dio sulla nostra vita. Il Signore non urla, non si impone… come ci insegna il famoso passo che vede protagonista il profeta Elia, Dio predilige la forma di un vento leggero (1Re 19,12). Questo insegna molto a chi ha a che fare con una responsabilità educativa. Vi immaginate se ogni genitore indicasse ai figli come comportarsi o li correggesse a fronte di un errore, attraverso una modalità comunicativa corrispondente ad un “vento leggero”, o allo stile del servo del Signore descritto dal profeta Isaia che “non spezzerà una canna incrinata” (Is 42, 3)? Eppure è questa la scuola a cui ci ammaestra Dio fin dai tempi antichi ed è per questo che l’uomo a lui può affidarsi: “[…] Tu sei il mio rifugio, mi liberi dall’angoscia […]” (v. 7), perché Egli è un Padre che sa dire così: “Ti istruirò e ti insegnerò la via da seguire; con gli occhi su di te, ti darò consiglio” (v. 8). Questa immagine corrisponde nella mia fantasia a quella di un papà che ha passato in rassegna l’abbigliamento della figlia adolescente prima che esca per una festa, perché non sia troppo succinta… che poi, dopo averla accompagnata in auto fuori dal locale, fa un altro giro dell’isolato e la segue con lo sguardo fino a quando lei non si mescola con i suoi amici… Dio ci lascia tremendamente liberi, ma trepida per noi finché non siamo tornati a casa e ci dice: “non siate privi d’intelligenza” (cfr. v. 9) come gli animali e spera che noi accettiamo le sue indicazioni. Se seguiremo i suoi consigli come figli che si affidano, allora si potrà fare festa, allora in casa, anche fra generazioni, anche con adolescenti che hanno bisogno di mordere il freno, ribellarsi, saggiare quanto possono staccarsi e a fare a meno dei genitori, provocandoli allo spasimo… anche in questo clima si potrà gioire perché “Molti saranno i dolori del malvagio, ma l’amore circonda chi confida nel Signore. Rallegratevi nel Signore ed esultate, o giusti! Voi tutti, retti di cuore, gridate di gioia!” (vv. 10-11).

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Fonte: Sir