Salmo 71. La preghiera dell’uomo che nella vecchiaia, nonostante la debolezza e i timori, sceglie ancora di abbandonarsi a Dio

Del resto chi di noi, ancor più se verso il compimento della sua esistenza terrena, non anela ad una pienezza di vita che è ben più di una rassegnata consolazione per ciò che ha vissuto?

Salmo 71. La preghiera dell’uomo che nella vecchiaia, nonostante la debolezza e i timori, sceglie ancora di abbandonarsi a Dio

Il Salmo 71 viene attribuito a Davide quando già anziano è costretto a fuggire da suo figlio Assalonne, ma nella tradizione prima ebraica e poi cristiana è divenuto per antonomasia la preghiera dell’uomo che nella vecchiaia, nonostante la debolezza e i timori, sceglie ancora di abbandonarsi a Dio. Il componimento è scandito da tantissimi riferimenti al tempo e alle varie stagioni della vita e fa immaginare un nonno che raccontando la sua storia ai nipoti, insegni loro a pregare, facendo memoria di tutti i benefici ricevuti dal Signore. “In te, Signore, mi sono rifugiato, mai sarò deluso” (v. 1). Quanto è forte questo “mai” che la Vulgata traduce col celebre verso non confundar in aeternum! E quanto rinfranca l’anima frequentare una persona avanti negli anni che parla e si comporta considerando il Padre come “roccia” “dimora sempre accessibile”, “davvero una rupe” (cfr. v. 3). Come abbiamo già letto tante volte, il salmista invoca protezione dai nemici, soprattutto adesso che vengono meno le sue forze e, fuori dal contesto militare, possiamo immaginare che questi avversari siano anche la noia, la malinconia, la paura di rimanere soli, la morte stessa. Il ricordo di quando era in vigore, incoraggia l’anziano: “la mia fiducia, Signore, fin dalla mia giovinezza (v. 5). “Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno, dal seno di mia madre sei tu il mio sostegno (v. 6). È come se un figlio ricordasse al suoi genitore quanto lo abbia desiderato fin dalla nascita e per questo possa chiedergli: “Non gettarmi via nel tempo della vecchiaia, non abbandonarmi quando declinano le mie forze” (v. 9). Come non porre mente a quanto nelle sue recenti catechesi anche Papa Francesco ha ribadito a gran voce: ovvero il pregio dell’anzianità quale tempo fecondo che può molto trasmettere alle generazioni future, piuttosto che essere considerato una dei tanti “scarti” del materialismo che fatichiamo a contrastare? L’uomo anziano che continua a sperare e non si stanca di chiedere a Dio di stargli vicino, è capace di fare ancora progetti, sogni e soprattutto, come detto, di farsi testimone per chi verrà dopo di lui: “La mia bocca racconterà la tua giustizia… Verrò a cantare le imprese del Signore Dio: farò memoria della tua giustizia, di te solo. Fin dalla giovinezza, o Dio, mi hai istruito e oggi ancora proclamo le tue meraviglie Venuta la vecchiaia e i capelli bianchi, o Dio, non abbandonarmi, fino a che io annunci la tua potenza, a tutte le generazioni le tue imprese” (vv. 15-19). Invece che essere ripiegato su di sé, sui suoi mali fisici o sui suoi scrupoli, il vecchio che si fida del Signore diviene un megafono delle sue meraviglie, un entusiasta sostenitore della bellezza del vivere, pur non dimenticando le fatiche e le cadute (“molte angosce e sventure mi hai fatto vedere” v. 20) fino ad un verso che è l’apice di ogni speranza: “mi farai risalire dagli abissi della terra” (v. 20). In un tempo che non contemplava ancora la resurrezione, la sete di vita dell’ebreo che prega, anticipa il compimento portato da Cristo che sulla croce vince la morte una volta per tutte. È per questo che i Padri della Chiesa hanno ritenuto che tutto il componimento possa essere letto come se fossero parole di Gesù stesso. Del resto chi di noi, ancor più se verso il compimento della sua esistenza terrena, non anela ad una pienezza di vita che è ben più di una rassegnata consolazione per ciò che ha vissuto, ma il desiderio di sperimentare che l’amore di Dio è per sempre e nessun germe di bene potrà andare perduto?

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Fonte: Sir