Salmo 80. Non c’è modo più fecondo di vivere il presente se non con l’animo trepidante di chi ha invitato a casa l’ospite più caro

Un giorno Gesù ritornerà dando senso definitivamente a tutta “l’ingiusta sofferenza” degli uomini.

Salmo 80. Non c’è modo più fecondo di vivere il presente se non con l’animo trepidante di chi ha invitato a casa l’ospite più caro

Quando siamo nella prova, spesso ci mancano le parole. Per un lutto, una grave malattia fisica o psicologica. Anche la famiglia, per la sofferenza di un suo componente, si può trovare in balia del silenzio, del dubbio, della tentazione di non fidarsi che il Signore sia presente anche lì. I versi del salmo 80, come e più di altri, sembrano scritti proprio per circostanze come queste. Israele è allo sbando e chiede a Dio di salvarlo ancora una volta: “Risveglia la tua potenza e vieni a salvarci” (v. 4) E subito dopo, con quello che sarà un ritornello: “O Dio, fa’ che ritorniamo, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi” (v. 4; cfr. vv. 8 e 20). Per tutto il componimento c’è un doppio movimento convergente: quello chiesto al Signore di ritornare e quello che è necessario facciano gli uomini di tornare a lui. È la dinamica della conversione di ogni credente. Da un lato, c’è il lamento per essere stati abbandonati, la paura dell’ira e del castigo, da cui non siamo esenti anche noi cristiani, “fino a quando fremerai di sdegno contro le preghiere del tuo popolo? […] Ci fai bere lacrime in abbondanza” (vv 5-6). Dall’altra affiora l’onesta consapevolezza che il male che proviamo non è voluto da Dio e, che anzi, molta parte della nostra desolazione è dovuta all’esserci allontanati dalla strada che lui ci ha indicato. Ecco allora che se riusciremo a vedere nuovamente lo splendore del suo vero volto di misericordia, potremo ritrovare il sentiero. Il salmo, con un’immagine evocativa per il popolo ebraico, narra di una vigna che Dio aveva coltivato con ogni cura e reso rigogliosa (“Hai sradicato una vite dall’Egitto […] Le hai preparato il terreno, hai affondato le sue radici ed essa ha riempito la terra” (vv. 9-10) ed ora è invece distrutta (“Perché hai aperto brecce nella sua cinta e ne fa vendemmia ogni passante? La devasta il cinghiale del bosco e vi pascolano le bestie della campagna” vv. 13-14). È ancora una volta l’ammissione non solo di una colpa, ma della propria sconfinata fragilità: “Dio degli eserciti, ritorna! Guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna!” v. 15) e, prima di concludere, ancora reiterato il movimento convergente di chi di nuovo spera nel Signore: “Da te mai più ci allontaneremo, facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome” (v. 19). Mi pare a questo punto di sentire l’obiezione angosciata di una madre che assiste un figlio gravemente malato, o le vittime di un conflitto o di una calamità naturale. C’è un male innocente, che non è causato dal nostro peccato ed è di fronte a questo che, ancora più forte l’uomo grida a Dio: “fino a quando?” Un’attesa diversa, questa per noi, fondata saldamente sulle parole di Gesù: un giorno ritornerà dando senso definitivamente a tutta “l’ingiusta sofferenza” degli uomini. Anche se non sappiamo il giorno e l’ora, ci fidiamo della sua promessa. Il tempo di Avvento che stiamo celebrando – in cui liturgicamente questo salmo è molto presente – ci prepara proprio a questo ritorno di Gesù, in una dimensione che che va oltre la pur legittima memoria del Natale, la sua prima venuta nella carne e nella storia a Betlemme. Non c’è modo più fecondo di vivere il presente, anche nelle sue più dolorose contraddizioni, se non con l’animo trepidante di chi ha invitato a casa l’ospite più caro. Facciamoci trovare pronti: Il Signore viene.

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Fonte: Sir