Sinodo per l’Amazzonia: un reportage per “guardarla negli occhi”

Presentato il volume "Frontiera Amazzonia. Viaggio nel cuore della terra ferita" (Emi), scritto da Lucia Capuzzi e Stefania Falasca. Le autrici: "L'Amazzonia è una donna stuprata"

Sinodo per l’Amazzonia: un reportage per “guardarla negli occhi”

“L’Amazzonia è una donna. Una donna stuprata. Ha negli occhi il colore della notte e i capelli lisci come gli strapiombi delle Ande. Volevamo incontrarla, poterla guardare negli occhi. E siamo andate. E siamo entrate in quegli occhi”. A scegliere un esergo così per il proprio libro non potevano essere che due donne. Stefania Falasca e Lucia Capuzzi, nel loro volume “Frontiera Amazzonia” (Emi) – presentato oggi nella Sala Marconi della Radio Vaticana – raccontano il loro viaggio lungo il “grande fiume”, il Rio delle Amazzoni, per scoprire l’”urlo di silenzio” che, solo a volerlo ascoltare, scuote le coscienze di tutti noi, a contatto con le ferite di una terra ricca e violata, piena di risorse naturali ma espropriata da una parola – depredazione – che riassume l’avidità, la prepotenza e l’arroganza senza scrupoli di quelli che il Papa, aprendo ufficialmente il Sinodo per l’Amazzonia, ha definito i “nuovi colonialismi”.

Oro, rame, petrolio, legname, coltivazioni intensive. Ognuna di queste ricchezze amazzoniche ha un colore, da cui prendono il nome i diversi capitoli del volume. Insieme, formano un mosaico eloquente delle devastanti e perduranti contraddizioni che mettono a rischio una delle aree più determinanti per la sostenibilità presente e futura del nostro pianeta. Il rèportage comincia a Puerto Maldonado, la cittadina peruviana dalla quale, un anno e mezzo fa, Francesco ha voluto iniziare idealmente il Sinodo sull’Amazzonia che ora si svolge in Vaticano con la partecipazione di 184 padri sinodali e 17 rappresentanti dei popoli indigeni. “La piccola Puerto Maldonado ha una concentrazione di compro oro da far impallidire Milano o New York”, scrivono le autrici: “Il 44,5 per cento del Pil regionale dipende dal business dell’oro, il quale, al 95 per cento, è di origine sconosciuta”. Il rosso-rame è il simbolo delle promesse tradite nella Cordigliera del Condor, in Ecuador, dove a vent’anni dalle prime estrazioni minerarie le baracche dei minatori sono aumentate, invece di scomparire, e il villaggio di Tundayme-El Carmelo ospita cartelli e locali con ideogrammi cinesi.

Lo strapotere delle multinazionali, e il loro saccheggio senza limiti e regole a danno della popolazione, a Lago Agrio prende il colore dei pozzi neri di petrolio.

Ad opporsi è Nemo, donna guerriera che, con le armi della pace, è riuscita a bloccare l’avanzata della frontiera petrolifera nel territorio del suo popolo, gli Waorani. “Da noi – racconta – non c’è segnale telefonico, né tv, né strade. Solo serbatoi per l’acqua potabile e pannelli solari per l’energia. Per questo, la foresta è ancora sana. E anche noi”. “La coca ci ha portato la guerra e la violenza, ha distrutto la comunità”. Così Estela, che nel villaggio di El Placer è la custodia della memoria, riassume la sua esperienza in quello che oggi è il regno dei narcos: la via della coca, la cui porta d’entrata è La Dorada, nel lembo estremo della Colombia occidentale. Il verde-coca è solo uno dei tanti verdi dell’Amazzonia, ma la sua fisionomia è inconfondibile. “La coca ha letteralmente narcotizzato il tessuto sociale e produttivo”, si legge nel volume a proposito dello strapotere dei “cartelli della morte”, a cui i coltivatori sono costretti a vendersi perché non hanno alternative.

Manaus, la metropoli grigio- fumo nello stato di Amazonas in Brasile, “è l’altra faccia dell’Amazzonia”, spiegano Falasca e Capuzzi proposito dell’isola di 2 milioni e mezzo di abitanti che continua a crescere a una velocità vertiginosa e non si raggiunge via terra. E’ circondata da distese fluviali nel mezzo della foresta equatoriale, ma a colonizzarla sfigurandone il volto sono gli stabilimenti delle grandi multinazionali. Attorno ad essi, gli invisibili, costretti a vivere nelle baracche tra depositi di immondizia. “I popoli indigeni sono e devono essere interlocutori indispensabili”, scrive il card. Claudio Hummes nell’introduzione al volume: “Conoscono l’Amazzonia meglio di chiunque altro”. Il Sinodo che comincia li ascolterà e imparerà da loro.

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Fonte: Sir