Editoriale del direttore di Caritas Padova. Il decreto Cutro: ostacolo all’integrazione

Il cosiddetto “decreto Cutro”, che ha fatto tanto discutere – e continuerà a farlo – è stato convertito in legge il 5 maggio. L’obiettivo dichiarato è colpire i trafficanti e aumentare l’immigrazione regolare, ma la conseguenza sarà far cadere in clandestinità più persone

Editoriale del direttore di Caritas Padova. Il decreto Cutro: ostacolo all’integrazione

Il 5 maggio scorso è stato convertito in legge (n. 50/2023) il cosiddetto “decreto Cutro” (D. L. n. 20/2023) che tanto ha fatto discutere e che continuerà a essere di fatto un ostacolo al compimento di processi di integrazione per le persone che arrivano in Italia attraverso la rotta del mare e quella Balcanica. Nonostante l’obiettivo dichiarato sia quello di colpire i trafficanti e di aumentare l’immigrazione regolare attraverso l’ampliamento delle quote dei decreti flussi, è molto chiaro come il vero obiettivo sia un altro: ridurre il numero di persone che potranno vedere riconosciuta la possibilità di rimanere regolarmente in Italia dopo esservi arrivati e dopo essere stati accolti per vari mesi. La conseguenza sarà quella di far cadere nella clandestinità un numero maggiore di persone rispetto al passato. Per fare questa operazione la legge prevede alcuni accorgimenti, penalizzando la situazione delle persone richiedenti asilo: la quasi immediatezza di risposta delle commissioni per persone che arrivano da Paesi considerati sicuri (senza, di fatto, permettere alla persona migrante di provare la situazione di eventuale persecuzione, tortura o altre forme di trattamento inumano o degradante o di violenza indiscriminata) e l’abolizione del permesso di soggiorno per protezione speciale, evitando di considerare tutta una serie di situazioni di fragilità. Oltre a questo, meno tutele sanitarie, impossibilità di convertire per lavoro alcuni tipi di permesso di soggiorno, diminuzione di investimento sull’integrazione (tra cui anche l’insegnamento della lingua italiana). L’applicazione della nuova legge avrà come conseguenza, quindi, l’aumento di persone che rimarranno sul territorio nazionale in modo irregolare, quindi senza diritti sanitari, senza la possibilità di lavorare legalmente, di sottoscrivere un contratto di affitto, di avere un conto in
banca, etc. Aumentare il numero di invisibili non è solo una forma di discriminazione verso queste persone ma è anche una grossa responsabilità sociale: significa perdere completamente il controllo di fenomeni che potrebbero diventare problematici, allargare le zone degradate delle periferie delle nostre città, aumentare la possibilità che queste persone intraprendano percorsi di illegalità o devianza. Qualcuno potrebbe pensare che le questioni di legalità (la nuova legge aumenta le pene per immigrazione clandestina) siano di pertinenza della giustizia, ma questa visione sembra alquanto
superficiale e costosa sia in termini economici che sociali. A nostro avviso sono preferibili di gran lunga le azioni preventive piuttosto che quelle coercitive. Senza dimenticare l’aumento di frustrazione e rabbia che una mancata accoglienza, se non un esplicito rifiuto, possa ingenerare in soggetti privati di ogni diritto. C’è un’altra questione che è bene mettere in evidenza e cioè la mancanza, in Italia, di una cultura di accoglienza che in maniera strutturata e progettuale preveda l’integrazione di chi proviene da altre culture, in particolare di coloro che scappano da guerre o carestie o situazioni di privazione della libertà. Per integrazione non intendiamo, qui, l’omologazione alla cultura ospitante ma l’offerta ai migranti di strumenti utili per inserirsi in modo consapevole e intelligente. L’immigrazione, infatti, è considerata da sempre in Italia, quali che siano i colori del governo in carica, come questione emergenziale, come problema da risolvere. Non si è cioè mai affrontato in modo globale l’inserimento nella nostra cultura di cittadini altri considerandone il valore e il possibile apporto positivo. Al massimo gli immigrati sono considerati come forza lavoro da usare per tenere in vita le nostre aziende e le pensioni dei nostri anziani. Riguardo ai diritti da riconoscere, invece, siamo alquanto carenti. Basti pensare al problema dell’accesso a una abitazione che penalizza in particolare chi non è di origine italiana. Da ultimo è bene rimarcare come il fenomeno dell’immigrazione debba essere governato, ma che non possa essere bloccato intervenendo sull’ultimo passaggio, sull’ultimo confine. Gli stravolgimenti politici, economici, ambientali che il nostro sistema provoca sono le principali cause dell’immigrazione e anche le leve sulle quali intervenire per consentire alle persone di rimanere nei propri paesi di origine.

Lorenzo Rampon
direttore Caritas Padova

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