Opera della Provvidenza. Don Roberto Ravazzolo è il nuovo direttore

Opsa. Il vescovo Claudio, dopo aver accolto le dimissioni di don Roberto Bevilacqua, ha nominato direttore generale don Roberto Ravazzolo

Opera della Provvidenza. Don Roberto Ravazzolo è il nuovo direttore

«Una nomina assolutamente inattesa perché fino a un anno fa l’ambito del mio impegno pastorale era molto diverso. Un cambio me l’aspettavo anche se non così radicale. Ho pensato a lungo se accettare o meno. Alla fine ho dato la mia disponibilità, in spirito di servizio anche se non senza fatica, perché consapevole di dover cambiare paradigma». A parlare così è don Roberto Ravazzolo, nominato dal vescovo Claudio a fine 2021 direttore dell’Opsa, l’Opera della Provvidenza Sant’Antonio di Sarmeola di Rubano, succedendo a mons. Roberto Bevilacqua. «Sono entrato in punta dei piedi, un anno e mezzo fa – continua il nuovo direttore – La progressiva assunzione di responsabilità, proporzionata alla conoscenza e all’esperienza maturate, ha preparato la strada a quest’ultima tappa, che avviene molto serenamente».

Mons. Bevilacqua, che per ben 40 anni ha prestato servizio e vissuto per l’Opsa, che cammino ha tracciato?
«Gli siamo grati per come l’Opera è cresciuta con lui non solo da un punto di vista strutturale, ma anche a livello di personale e volontari. Tutto questo non ci sarebbe senza la laboriosità instancabile e la sapiente lungimiranza del mio predecessore».

Quali saranno i compiti da affrontare?
«Il primo compito del direttore è garantire gli alti standard di qualità raggiunti. La struttura è accreditata e deve rispondere quindi a certi requisiti. Con l’aiuto delle varie figure professionali operanti in struttura sarà importante conservare e perfezionare sempre di più la qualità dei servizi e della vita. Per raggiungere questo obiettivo stiamo definendo un modello organizzativo che, nel contesto attuale in continuo cambiamento, garantisca la cura degli ospiti, il benessere lavorativo dei dipendenti e la soddisfazione dei familiari e di tutti quelli che frequentano l’Opera. Un secondo ambito d’impegno è la cura delle relazioni, sia all’interno che all’esterno. Due anni di pandemia hanno messo tutti in condizioni di vita e di lavoro veramente estreme: le esigenze lavorative e di sicurezza sembrano aver penalizzato quelle relazionali. Si è accentuata la chiusura con l’esterno e potenziata l’esigenza di cure sanitarie, ma rimane la domanda: come si coniuga la tutela sanitaria con le condizioni di vita, relazionali e affettive degli ospiti? Per fortuna l’Opsa ha ampi spazi e non sono mancate le attività educative e di animazione della vita interna, ma la limitazione della presenza dei familiari e dei volontari si è fatta sentire. Occorre non perdere di vista la salute nel suo complesso e quindi il ben-essere degli ospiti. Non ci sono soluzioni preconfezionate ma la questione è avvertita. Il personale poi si è trovato a lavorare in condizioni di notevole stress psico-fisico».

Non va dimenticata però anche l’ispirazione di questa casa...
«Esatto. È nata dall’esigenza di unire la fede con la carità, di volere un luogo nel quale servire Cristo nei fratelli. C’è un bisogno spirituale, di senso. Quando Gesù dice: quello che avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me, indica nella solidarietà e nell’accoglienza dell’altro una strada per incontrare Dio. Evangelizzare, prima che annunciare, significa amare».

Sfide da affrontare?
«Sono molte ma mi fermo su una in particolare: l’aspetto organizzativo e assistenziale e la dimensione spirituale, cui si è accennato, richiedono un impegno culturale per far sì che concetti come inclusione, integrazione, inserimento, valorizzazione di persone con disabilità, oggi fortunatamente di dominio comune, diventino argine alla tentazione dello scarto, sempre in agguato nella società dell’efficienza e dell’opulenza. Oggi la nuova frontiera degli “ultimi fra gli ultimi” è data dai disabili adulti e anziani privi di una adeguata rete familiare e sociale, nonché da giovani affetti da gravissime disabilità richiedenti un’alta protezione sanitaria, difficilmente erogabile a domicilio. A tutti costoro che in maniera sempre più ricorrente invocano un cenno, una mano, un aiuto non si può negare una speranza, una carezza, una casa»

Biografia

Don Roberto Ravazzolo, classe 1964, è stato ordinato prete della Diocesi di Padova nel 1989. Fino al 2020 ha svolto servizio nella pastorale dell’università e della cultura: prima come assistente degli studenti alla Cattolica di Milano e poi alla Fuci e quindi è stato direttore del Centro universitario di via Zabarella a Padova e insegnante in Seminario, all’istituto vescovile Barbarigo, alla Facoltà teologica del Triveneto e all’Issr di Padova. L’anno scorso ha affiancato all’Opsa mons. Roberto Bevilacqua e ha conseguito un master in management dei servizi sanitari e sociosanitari all’Università di Parma.

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