Qual è il ruolo delle donne nella Chiesa? La parola a suor Marzia Ceschia, Marinella Perroni e Simona Segoloni Ruta

Qual è il ruolo delle donne nella Chiesa? L’abbiamo chiesto a suor Marzia Ceschia (Facoltà teologica del Triveneto), Marinella Perroni (Coordinamento teologhe italiane) e Simona Segoloni Ruta (docente di teologia dogmatica)

Qual è il ruolo delle donne nella Chiesa? La parola a suor Marzia Ceschia, Marinella Perroni e Simona Segoloni Ruta

La Chiesa è donna, ha detto papa Francesco, aggiungendo anche che «uno dei grandi peccati che abbiamo avuto è maschilizzare la Chiesa. Bisogna quindi smaschilizzarla». Le donne sono presenti e attive in molti ambiti, molti servizi sono quasi totalmente gestiti da loro. Ma qual è effettivamente il loro ruolo nella Chiesa? Sono una risorsa incompresa? «La domanda sul ruolo è molto impegnativa – afferma Marinella Perroni, biblista, fondatrice del Coordinamento teologhe italiane e vice presidente di Bet Polo biblico – È una questione estremamente complessa, delicata, articolata e fortemente discussa che sta riscaldando gli ambienti ecclesiali ormai da diverso tempo. Papa Francesco ci si gioca parecchio e non può prenderla con superficialità perché riguarda tutta la Chiesa cattolica. E in più è una questione fortemente divisiva: da un parte la pressione per ragionare sulla possibilità che vengano aperti alle donne tutti i ruoli interni alla Chiesa, e quindi anche quelli gerarchici, dall’altra ci sono quelli che lo vedono come un tradimento». «Le donne nella Chiesa ci sono sempre state – sottolinea suor Marzia Ceschia, docente di Teologia spirituale presso la Facoltà teologica del Triveneto – Per lungo tempo sono state quasi invisibili e oggi ancora c’è da camminare perché siano viste, coinvolte, ascoltate. Non è così corretto parlare di “donne e Chiesa”, come se si trattasse di due entità distinte. Le donne sono nella Chiesa e contribuiscono a edificarla. Da sempre. Che cosa le ha rese invisibili? Il mancato riconoscimento dell’autorevolezza della loro parola. “Mulieres in ecclesia taceant” (1Cor 14,34): questo imperativo – tacciano le donne nelle chiese – interpretato come assenza di diritto ha relegato le donne in una marginalità che le ha private della possibilità di raccontarsi in spazi ampi, pubblici, di partecipare, di far sì che le loro parole e vissuti potessero essere seriamente considerati come prospettive di discernimento e di crescita condivisibili da maschi e femmine, egualmente battezzati». Simona Segoloni Ruta, docente di Teologia sistematica e membro del Coordinamento teologhe italiane, ha una visione simile: parla di “talenti sepolti” e di risorsa compresa ma forse temuta e non utilizzata, un capitale non investito. «C’è un evidente grande impegno delle battezzate, delle credenti. Se facessimo uno sciopero, le chiese si svuoterebbero e anche molti dei servizi parrocchiali ed ecclesiali! Però, pur essendo questo importante perché riguarda la vita della Chiesa, non c’è adeguato riconoscimento né da parte di uomini né di donne; non ne diamo il giusto peso. Non voglio dire che non ci accorgiamo del capitale, ma anche dove ci accorgiamo preferiamo fare altre scelte e questo è ancora peggio». Dunque è solo una questione di potere? «Certo – afferma sicura Segoloni Ruta – Ma il potere di per sé è una cosa buona, tutti i soggetti sociali hanno bisogno di regole e che il potere sia ben incanalato per funzionare. Una cosa è il potere e una l’arbitrio e l’abuso. Quindi se il potere è soltanto da una parte, determina uno squilibrio». «È un po’ cruda, ma è così – aggiunge Perroni – La scala di autorità della Chiesa passa attraverso il sacerdozio, con il diaconato e un gradino dopo l’episcopato. Le donne non possono accedere all’ordine sacro per norma giuridica che si ritiene fondata sulla tradizione e su quello che ha fatto Gesù. Non possono quindi accedere alla gerarchia. L’unico spiraglio potrebbe essere il cardinalato». In generale quali resistenze si riscontrano nella Chiesa e a cosa sono riconducibili? «Principalmente sono riconducibili a due stereotipi: Gesù non ha scelto donne e la tradizione successiva ha preservato questo pensiero – afferma Perroni – A questo si aggiunge che nel diritto canonico l’accesso al sacerdozio è riservato esclusivamente ai maschi. Gli stereotipi più teologici sono stati smascherati come convinzioni molto riduttive che non rendono ragione né di ciò che ha fatto Gesù né della reale tradizione della Chiesa».

Secondo Segoloni Ruta l’ambito in cui ci sono più resistenze è quello liturgico ministeriale: tutto ciò che riguarda l’ambito del sacro, come anche la parola autorevole, la predicazione, ciò che è decisionale non è femminile e i pregiudizi da scardinare sono più o meno quelli che ci sono nella società civile: «Solo che la Chiesa ha una struttura più rigida – sottolinea la docente – con meno controlli e meno possibilità di scambio di posizioni alto-basso. Si preferiscono gli uomini, è così. Le donne si dice sono più adatte per altri ambiti come la cura, mentre compiti legati alla parola autorevole non spettano alle donne perché così sarebbe stabilito nel Vangelo e nella volontà di Dio: un’affermazione che si basa sulle paure di cambiamenti di relazione. Se le donne vengono riconosciute adeguatamente e cominciano a svolgere tutti i compiti per i quali hanno i carismi questo crea una cambiamento totale delle relazioni, gli uomini si devono ripensare». Un problema che abbiamo anche nel mondo del lavoro, in famiglia, in politica. Serve un cambiamento di orizzonte: «Smettiamo di parlare dello specifico che può portare la donna – chiarisce Marinella Perroni – Non esiste. Bisogna liberare delle risorse che vengono dalla coscienza delle donne in tutto il mondo. Smettiamola con queste idee di esaltazione di un femminile che non esiste. Ognuno porta il proprio specifico in quanto persona, anche in quanto persona politica». Semmai bisognerebbe riconoscere un valore aggiunto all’esperienza di marginalità fatta per tanti secoli dalla donna che può diventare di insegnamento e risorsa per la Chiesa intera. È un patrimonio esperienziale che diventa importante. Un aspetto questo sottolineato tanto da Segoloni Ruta quanto da suor Ceschia che aggiunge anche che «l’ascolto delle donne potrebbe offrire chiavi di lettura urgenti oggi, dando spazio alle tante narrazioni femminili sorte sul limite. Le donne possono raccontare che cosa significa sentirsi distanti, hanno il senso delle agonie e dei desideri, sanno per esperienza le periferie verso le quali la Chiesa è oggi costantemente sollecitata ad andare e ad aprirsi. Possono diventare straordinarie elaboratrici di linguaggi, di stili, di modi di prendersi cura e di ospitare che non sono però “affari di donne”, ma attitudini che spettano a tutti i discepoli di Cristo. Lo Spirito non suscita nei maschi doni di “serie A” e nelle donne doni di “serie B”».

In questo dibattito quale potrebbe o dovrebbe essere il ruolo del maschio? E cosa chiede la donna? «La posizione maschile nella Chiesa – afferma Segoloni Ruta – è simile a quella nella società civile, cioè le donne hanno fatto un certo cammino, hanno preso una certa consapevolezza, i maschi sono rimasti dove erano cent’anni fa. I maschi dovrebbero entrare in una autentica relazione con le donne e ascoltare in modo vero la fatica che fanno e quindi domandarsi se essere maschi significa stare in posizione di privilegio, di dominio. È una domanda di conversione su di sé. Gli uomini devono lavorare su di sé, ma non glielo possiamo dire certo noi!». «C’è ancora da lavorare per assumere una prospettiva che non dia come ovvia la relazione potere-maschio-sacro – aggiunge suor Marzia Ceschia – Evidenzierei la corresponsabilità che è altro dal dire complementarietà: non si tratta, infatti, di “completare”, ma di condividere, di fare sinergia tra soggetti ritenuti allo stesso modo attivi. Non si tratta neppure di stabilire una uguaglianza che non rispetti le specificità e le differenze, indicando come orizzonte per le donne superficialmente l’aspirazione a un “potere” così come gli uomini lo hanno configurato. Autorità è aumentare, far crescere, riconoscere il dono dell’altro e dell’altra per attivarlo per l’utilità comune. Per riconosciuta autorevolezza e non per un “potere” chiede spazio anche la parola esperienziale, ecclesiale, teologica delle donne, accolta sì nella sua parzialità  ma anche nella sue potenzialità, così come è parziale e portatrice di possibilità quella degli uomini, in una condivisa e partecipata responsabilità di cercare la forma per vivere oggi l’autenticità evangelica». «Non è che le donne chiedono qualcosa alla Chiesa – conclude Segoloni Ruta – Le donne sono la Chiesa quindi, facendone parte, le chiedono di renderci conto che dentro le nostre relazioni e strutture non tutti vengono favoriti allo stesso modo. Chiedono che se ci sono le competenze, i carismi e la volontà di servire la Chiesa venga fatto secondo volontà, carismi e reali capacità delle persone. Le giovani generazioni non si riconoscono in certi stili di vita, in certi dibattiti e questo dice l’urgenza della questione. La Chiesa, infine, dovrebbe essere un segno di contraddizione in un contesto sociale dove ancora ci sono comportamenti vessatori nei confronti delle donne».

In terra di missione. Il coraggio di vivere una Chiesa “circolare”

Anche in terra di missione la presenza femminile non manca, anzi! Francesca Dalla Porta, ad esempio, pediatra di Medici con l’Africa Cuamm si trova a Tosamaganga, in Tanzania e lavora con 16 colleghi locali, di cui undici donne, di generazioni diverse, dalle giovanissime di vent’anni a quelle con più esperienza di 50-60 anni. «Vedo in loro una dedizione incredibile – racconta la pediatra, intervenuta ai “Lunedì della missione” – a maggior ragione se penso che ciascuna di loro vive una realtà domestica di cui noi conosciamo solo la superficie. Operano con grazia e determinazione, c’è dedizione e desiderio di lavorare per la propria comunità. Se diamo loro la voce, se le ascoltiamo si può fare molto per migliorare i contesti». Cosa può insegnarci allora l’esperienza della missione? A rispondere è Elisabetta Corà, già fidei donum in Etiopia e ora impegnata nel Centro missionario diocesano (anche lei è intervenuta ai “Lunedì della missione”). Nella prefettura apostolica di Robe, dove è stata da gennaio 2019 a giugno 2022, si è scelto è di vivere insieme – missionari e laici – respirando la bellezza e l’importanza di fare comunità. «Abbiamo voluto vivere insieme il femminile e il maschile che è diventato testimonianza di una pastorale con lo stesso sguardo: maschile e femminile; lo sguardo di un presbitero e di una laica che ha fatto la differenza. Da qui affiora una Chiesa ministeriale, che non è del sacerdote, del vescovo, del consacrato, ma del popolo di Dio, in cui c’è una ricchezza del maschile e del femminile che accresce e rinnova l’annuncio del Vangelo. Dobbiamo uscire dallo schema piramidale e avere coraggio di vivere una Chiesa circolare fatta veramente delle persone, uomini e donne».

Sacerdozio femminile: questione delicata
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La questione del sacerdozio femminile è un altro tema delicato e scottante. «Il sacerdozio – chiarisce Marinella Perroni – è entrato nella vita della Chiesa in forza della esemplarità pagana e giudaica che avevano al loro interno questa figura ed è legata alla gestione del sacro. Questo però non ha nulla a che vedere con Gesù e con le prime comunità cristiane. Per me il vero problema è che la Chiesa cattolica dovrebbe accettare di ridiscutere delle cose. C’è chi ha visto nel Concilio Vaticano II il rischio di protestantizzazione della Chiesa cattolica e qui sta il problema. Il Concilio ha aperto dei varchi, ma poi c’è stata una chiusura. Papa Francesco da una parte, da buon gesuita, ha una forte istanza di sacerdotalizzazione però percepisce anche che i tumulti ci sono e le donne sono in prima linea perché sono l’elemento deflagrante».

“Con passi di donna”: focus su Studia patavina

“Con passi di donna. La presenza femminile nella chiesa nel postconcilio” è il titolo del focus che uscirà nel n. 1/2024 di Studia patavina (a maggio). Dopo un’introduzione di Assunta Steccanella, sono previsti interventi di suor Marzia Ceschia, Marinella Perroni, Alphonse Borras e Simona Segoloni Ruta. Ci saranno anche due interviste: ad Angelo Biscardi, sulla presenza femminile nei contesti parrocchiali; a Morena Baldacci, sulle donne alla guida di una comunità.

Cari lettori, vogliamo sentire la vostra voce

Dopo aver trattato di parità di genere nel numero del 25 febbraio di Mappe, l’inchiesta mensile della Difesa, torniamo a parlare di donne. E lo facciamo, come per tutti gli approfondimenti mensili su temi ecclesiali, a partire da una domanda: qual è il ruolo delle donne nella Chiesa? In queste pagine rispondono – senza peli sulla lingua – tre donne che sulla questione ci stanno ragionando da tempo e con grande passione. Ma, questa volta più che mai, la domanda è rivolta a tutte le nostre lettrici: qual è il vostro ruolo nella Chiesa? Come lo vivete? Come vi sentite dentro la porzione di Chiesa in cui, in nome del battesimo, avete scelto di vivere, impegnarvi, mettervi a servizio? Raccontateci la vostra esperienza! Ma anche le fatiche, le gioie e tutte quelle occasioni in cui “essere Chiesa” – donne e uomini – ha fatto toccare con mano, realmente, la presenza di Cristo. Scriveteci a redazione@difesapopolo.it

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