Tutto sale verso il Cielo: alla porta d'oro della Gerusalemme celeste ci sarà Maria

Alla porta d’oro della Gerusalemme celeste ci sarà Maria, per farci vedere che tutto ciò che siamo Dio lo ha amato da sempre

Tutto sale verso il Cielo: alla porta d'oro della Gerusalemme celeste ci sarà Maria

È come se intravedessimo, attraverso le innumerevoli pagine della rivelazione, da Genesi ad Apocalisse, un unico movimento. Come se una sola forza guidasse le azioni che ciò che è vivo ha compiuto da quel «fiat», e perfino la materia – che per definizione è grave; si dice: pesa – fosse invitata a compiere qualcosa che la muove apparentemente contro la natura.

Il verbo “salire” è la metafora dell’intero disegno di Dio. Se cominciassimo dai primissimi capitoli della Bibbia a cercare questo movimento di ascesa, ne troveremmo un’infinità. Da quando la figlia del faraone solleva dalla cesta di giunco, sulle acque del Nilo, Mosè, fino a quando la Gerusalemme celeste viene elevata come su un trono, all’ultima pagina di Apocalisse. Tutto sale. Sale Mosè, per l’epifania di Dio, sull’Oreb. Gli ebrei fanno salire su un’asta un serpente di bronzo, per essere salvati dai morsi della morte, come narra il libro dei Numeri. Salgono i sacerdoti attraverso le acque del Giordano, per entrare nella terra dove scorrono latte e miele.

Sale Davide sul monte Moria – quell’altura su cui era stato inviato Abramo per sacrificare Isacco – per dare finalmente a Dio, che ha vagato per quarant’anni sotto una tenda con la sua parola ancora incisa sulla pietra, una dimora; per portare sotto un primo tempio fatto di cedro la Legge scritta dal dito della destra di Adonai. Salgono gli ebrei a Gerusalemme per la preghiera, e infatti un numero straordinario di salmi è raggruppato sotto la definizione di “canti delle ascensioni”, perché accompagnavano la scalata del pellegrino dalla depressione giordanica fino alla città santa, dov’erano i seggi del giudizio, i maestosi baluardi e le mura.

Il pio israelita vi trovava l’arca dell’alleanza e la torre davidica, la torre d’avorio, intonsa, nel proprio chiarore, da ogni macchia. E non era banalmente lo spettacolo delle condizioni di floridezza del regno di Davide, ma il segno di ciò che Dio ha preparato per gli uomini: la sicurezza e la pace. Sale persino la Santa Famiglia, dalla prostrazione dell’Egitto, dove ha riparato per sfuggire all’ira di Erode, profezia già, in quel bambino, del morire (l’Egitto...), per andare alla Galilea delle genti, che risplende di luce. E quante volte Gesù ha detto: «Alzati!», «Cammina!»? Ha teso la mano: «Talità kum!»? Fino a che esplode, nei Vangeli, un verbo greco che è il palpito di tutta la rivelazione: egheiro. Significa “mettere dritto, in piedi”. È il termine usato dagli evangelisti per indicare la risurrezione, che, nella nostra lingua, suona già più come un costrutto del pensiero. Gesù fu messo dritto, in piedi.

Nel Vangelo di Luca, il Figlio di Dio stava parlando alle folle, quando una donna «alzò la voce» e disse: «Beato il grembo che ti ha portato»... Aveva percepito, quell’anonima ebrea, il bisogno di salire, di ascendere. Aveva indovinato la vocazione dell’universo. Non: cadere. E lei appunto, la dolce, silenziosa giovinetta di Nazareth, Maria, è stata assunta in cielo, anima e corpo. Il pensiero occidentale, da Galileo in avanti, dice della legge di gravitazione universale, dei “gravi”. È tutto pondus, peso, immagine che siamo soliti usare per la sofferenza. Miliardi di uomini si muovono cercando tutto e niente, luci o ombre, faticosamente il bene o, illusoriamente, un bene fittizio, il male. Oh, come ci trapassa l’anima l’inquietudine del mondo, immaginare tutto ciò che in ogni angolo del cosmo freme, è inquieto! Perfino i pesci, nel fondo degli abissi, rincorrono le correnti e si schivano l’un l’altro per timore di essere divorati dal pesce più grande...

Come non ci è permesso guardare l’augustissima Vergine Maria, mentre i Cherubini sono il suo trono e il cielo è la sua veste e le stelle la sua corona! Invece dovremmo credere profondamente che tutto deve salire. Ogni cosa è piccola dinanzi a Dio. Solo lui è grande. Ma il nostro cuore è pieno di pace, nelle tribolazioni, perché nulla, a eccezione del peccato, il Signore disprezza di ciò che ha creato. Tutto sta nelle sue mani e sale verso Sion. Le mura, le torri: sono immagine di Dio. E ci sarà Maria, “ianua caeli”, ad attenderci alla porta d’oro della Gerusalemme celeste, per farci vedere come tutto ciò che siamo, piccolo, Dio lo ha amato da sempre. Per darci questa gioia senza fine. E noi non capiremo mai abbastanza, forse anche nella vita eterna, come Dio abbia potuto amare la piccola carne che siamo.

don Gianandrea Di Donna
Direttore Ufficio Diocesano per la Liturgia

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