Aborti selettivi, la strage silenziosa delle bambine. Si abbassa l’età per le mutilazioni genitali

I dati del rapporto Indifesa di Terre des Hommes. Secondo le stime più attendibili, nel mondo le bambine mai nate dal 1970 a oggi sono circa 142 milioni (di cui 72 milioni in Cina e 45 milioni in India) a seguito della pratica degli aborti selettivi. Mutilazioni genitali femminili, la pandemia ha aumentato il rischio e in tutto il mondo sono ancora 200 milioni le ragazze e le donne che nel corso della loro vita hanno subito il “taglio”

Aborti selettivi, la strage silenziosa delle bambine. Si abbassa l’età per le mutilazioni genitali

Ancora numeri e considerazioni tratti dal report “Indifesa” di Terre des Hommes. Incredibili i dati su due pratiche terribili come gli aborti selettivi e le mutilazioni genitali femminili.

Aborti selettivi: la strage silenziosa delle bambine

In Paesi come Cina e India la tradizionale preferenza per i figli maschi ha portato a una vera e propria strage silenziosa di bambine, si afferma nel rapporto. Secondo le stime più attendibili quelle mai nate dal 1970 a oggi sono circa 142 milioni (di cui 72 milioni in Cina e 45 milioni in India) a seguito della pratica degli aborti selettivi. “In entrambi i Paesi i governi hanno cercato di porre fine al fenomeno – si ricorda -: in India dal 1994 è vietato determinare il sesso prima della nascita e la Cina ha ufficialmente abolito la politica del figlio unico del 2013 consentendo alle coppie di avere due figli. Ma questo potrebbe non bastare a riportare nei prossimi decenni l’equilibrio nel rapporto tra uomini e donne”. Infatti una ricerca pubblicata nella seconda metà del 2021 sul British Medical Journal, ha preso in considerazione i 12 Paesi in cui lo sbilanciamento del rapporto tra i sessi è particolarmente evidente (Albania, Armenia, Azerbaijan, Cina, Georgia, Hong Kong, India, Corea, Montenegro, Taiwan, Tunisia e Vietnam): se il trend attuale continuerà entro il 2030 potrebbero mancare all’appello ulteriori 4,7 milioni di bambine e ragazze. E lo scenario potrebbe essere persino peggiore se gli aborti selettivi ai danni delle bambine iniziassero a essere praticati su larga scala in altri 17 Paesi (tra cui Pakistan e Nigeria) a causa del rallentamento demografico. In questo caso, il numero delle “bambine mancanti” schizzerebbe a 22 milioni entro il 2100.

Come visto, l’India è uno dei Paesi in cui il rapporto tra sessi alla nascita è più sbilanciato. In base all’ultima National Family and Health Survey (il Sondaggio nazionale sulla famiglia e la salute) in India vengono al mondo 929 femmine ogni mille maschi, un dato in leggero miglioramento rispetto a quello rilevato dal precedente censimento del 2017 (919 femmine ogni mille maschi) ma ancora preoccupante. Infatti, in assenza di interventi “selettivi” da parte dell’uomo mediamente il rapporto tra sessi alla nascita è di 102-106 maschi ogni 100 femmine. Inoltre, la media nazionale in qualche modo “nasconde” la condizione di alcuni Stati dove il numero di bambine che non vengono al mondo è ancora più elevato: in Rajasthan la sex ratio alla nascita è di 891, in Tamil Nadu è 878, in Haryana è 893.
“I motivi della preferenza da parte delle famiglie indiane per i figli maschi sono economici e culturali si sottolinea -. Da loro ci si aspetta che si prendano cura dei genitori anziani, sono il ‘pilastro’ dell’economia familiare e sono i principali beneficiari dell’eredità. Al contrario, le figlie femmine vengono spesso percepite come un costo: non solo per il peso (economico) legato alla tradizione della dote che i genitori pagano alla famiglia dello sposo; ma anche perché, dopo il matrimonio, andranno a vivere in un’altra casa e non si potranno prendere cura dei genitori”.
La speranza, come sempre, è da riporre nelle nuove generazioni. “Con un maggiore accesso all’alfabetizzazione e all’istruzione, le aspirazioni delle donne stanno cambiando rapidamente. Le ragazze si stanno affermando e stanno prendendo in mano le redini della loro vita, e in futuro svolgeranno un ruolo fondamentale nella crescita e nello sviluppo del Paese”, ha commentato Poonam Muttreja, direttore esecutivo del Population Fund dell’India in un’intervista al Guardian.

Altrettanto drammatica è la situazione in Cina dove dalla fine degli anni Settanta del Novecento e fino al 2013 è rimasta in vigore la cosiddetta “politica del figlio unico”. Che ha spinto milioni di famiglie cinesi ad abortire le bambine, pur di potersi assicurare la discendenza con un figlio maschio. “Il risultato di questa politica è uno spaventoso sbilanciamento nel rapporto tra i sessi si precisa nel report -: se nel 1982 in Cina nascevano già 108 maschi ogni cento femmine, nel 2000 il rapporto è salito a 116 ogni cento e nel 2005 (l’anno peggiore) il rapporto era di 118 a 100. Solo nel 2015 - a seguito di un progressivo allentamento della politica di controllo demografico - si è osservata un’inversione di tendenza: i maschi nati in quell’anno erano 113 ogni 100 femmine e nel 2017 il rapporto era di 111 a 1005. Oggi, infatti, alle coppie che lo desiderano è consentito avere due figli, ma non basta cambiare una legge per modificare anche i comportamenti delle persone. Inoltre, in una Cina sempre più urbanizzata, le famiglie vivono spesso in appartamenti piccoli che non garantiscono una buona qualità di vita ai nuclei più numerosi”.

Mutilazioni genitali femminili, si abbassa l’età

“Stiamo perdendo terreno nella lotta per porre fine alle mutilazioni genitali femminili, con conseguenze terribili per milioni di ragazze che vivono nei Paesi in cui questa pratica è più diffusa”. A lanciare l’allarme è Nankali Maksud, consulente Unicef per la prevenzione delle pratiche dannose in occasione della Giornata internazionale per la tolleranza zero verso le mutilazioni genitali femminili (Mgf), che si celebra in tutto il mondo il 6 febbraio. La pandemia da Covid-19 e le restrizioni adottate per contenere la diffusione del virus “potrebbero annullare decenni di progressi fatti per contrastare questa pratica”. La pandemia infatti ha aumentato il rischio che le mutilazioni genitali femminili continuino a essere praticate senza restrizioni, e le Nazioni Unite stimano che nei prossimi dieci anni le vittime potrebbero aumentare di due milioni rispetto ai 68 milioni di bambine e ragazze a rischio già previsti. Questo perché le restrizioni alla circolazione hanno impedito agli attivisti contro le Mgf di accedere ad alcuni territori e molte famiglie hanno approfittato della chiusura prolungata delle scuole per far praticare il “taglio” alle ragazze.

Le mutilazioni genitali, spesso, vanno di pari passo con la prassi dei matrimoni precoci: nei Paesi dell’Africa sub-sahariana vivono circa 130 milioni di spose bambine (donne di età compresa tra i 20 e i 24 anni che si sono sposate prima della maggiore età) e 140 milioni di ragazze tra i 15 e i 19 anni che hanno subito una mutilazione genitale. E circa 40 milioni di ragazze le hanno subite entrambe.
“Questi numeri sono drammatici ma occorre anche dire che nel corso degli ultimi 30 anni l’incidenza delle mutilazioni genitali femminili in quella regione ha registrato un calo significativo, passando dal 49% delle ragazze tra i 15 e i 19 anni nel 1990 al 34% del 2021 – si afferma -. Paesi come Burkina Faso, Egitto, Kenya e Togo hanno fatto registrare i progressi maggiori. Tuttavia, secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità (Oms) in tutto il mondo sono ancora 200 milioni le ragazze e le donne che nel corso della loro vita hanno subito il ‘taglio’ e che devono fare i conti con le conseguenze fisiche e psicologiche di questa mutilazione. Tra queste ci sono problemi all’apparato genitale e urinario, rischio di sviluppare cisti o infezioni, dolori durante il rapporto, pratiche dolorose come la ‘deinfibulazione’ durante il parto, con un accresciuto rischio di morte per la madre e il nascituro. Ogni anno circa 3 milioni di bambine e ragazze rischiano di subire questa pratica, con la possibilità concreta di morire a seguito di emorragie o infezioni”.

Le mutilazioni genitali sono pratiche tradizionalmente tramandate di madre in figlia. Una catena che è possibile spezzare investendo sull’istruzione femminile. Le Mgf, infatti, sono generalmente più diffuse tra le figlie di donne non istruite: se le madri hanno completato almeno il ciclo di istruzione primaria le figlie hanno il 40% in meno di possibilità di subire il taglio. E il rifiuto di questa pratica cresce con l’aumentare del livello di istruzione: in Etiopia l’incidenza delle Mgf è dell’85% più bassa tra le figlie di donne che hanno completato la scuola secondaria rispetto a quelle che non hanno studiato. Tuttavia, l’istruzione può non bastare: soprattutto in quei Paesi come il Mali o il Gambia dove la pratica è fortemente radicata e le pressioni sociali a perpetuare la tradizione sono fortissime.
Una recente campagna di Unpfa, l’agenzia delle Nazioni Unite per la salute riproduttiva, si chiama Dear Daughters e mira a sensibilizzare le madri somale a non mutilare le bambine, coinvolgendo anche gli uomini. Finora sono state oltre 200 le bambine salvate grazie all’impegno dei genitori, ma il lavoro ancora da fare è molto: in Somalia infatti la percentuale di ragazze e donne con Mgf sfiora il 99%.

A rendere ancora più difficili gli interventi di prevenzione e contrasto alle mutilazioni genitali c’è anche il fatto che in molti Paesi il “taglio” viene praticato su bambine sempre più piccole rispetto a quanto avveniva trent’anni fa e questo – sottolinea Unicef- significa che c’è una “finestra” temporale sempre più stretta per intervenire. In Gambia, ad esempio, l’età media è passata da quattro a due anni, in Costa d’Avorio da sei a quattro anni, in Kenya da più di 12 anni a nove.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)