Armi all’Egitto: “Un rischio per la nostra democrazia, ma siamo in tempo per fermarci”

L’affare militare da 9 miliardi di euro tra Roma e il Cairo ha portato la società civile a mobilitarsi con la campagna #stoparmiegitto, mentre la Commissione sull’omicidio Regeni chiede chiarimenti a Conte. Brighi (esperta di Medioriente): “Questa compravendita è stata spacciata come interesse nazionale, mentre a guadagnarci sono i grandi gruppi industriali e bellici”

Armi all’Egitto: “Un rischio per la nostra democrazia, ma siamo in tempo per fermarci”

Un affare da 9 miliardi di euro, una compravendita di armi e materiale bellico che sigilla definitivamente i rapporti tra l’Italia e l’Egitto. In barba alla repressione e ai diritti umani violati dal regime di Al Sisi. Dentro ci sono due fregate Fremm, quattro navi e 20 pattugliatori, 24 caccia multiruolo Eurofighter e altrettanti aerei addestratori M346: una commissione militare tra le più grandi del dopoguerra, che fa dell’Egitto il primo cliente dell’industria militare italiana. E mentre i genitori di Giulio Regeni si dicono “offesi e indignati”, la società civile e le organizzazioni per la tutela dei diritti umani si mobilitano, lanciando sui social la campagna #stoparmiegitto, promossa dalla Rete italiana per il disarmo, Amnesty International e la Rete della pace. Gli attivisti sottolineano come questa compravendita violi tra l’altro la legge 185 del 1990, che vieta le esportazioni di armamenti verso i paesi i cui governi sono responsabili di accertate violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani. Nel frattempo, salgono anche i malumori all’interno della Marina militare italiana, a cui avrebbero dovute essere destinate le due fregate vendute all’Egitto.

Si spaccia per interesse nazionale quello che in realtà è un interesse assolutamente particolare: quello dei grandi gruppi industriali e bellici, che hanno pressato moltissimo per concludere un affare di queste dimensioni – commenta l’osservatrice Elisabetta Brighi, professoressa di relazioni internazionali alla University of Westminster di Londra ed esperta di rapporti tra Italia ed Egitto –. La categoria di ‘interesse nazionale’ è inesistente e pericolosa: in un paese ci sono una molteplicità di interessi da ricomporre, tanti dei quali non stanno venendo presi in considerazione. Pensiamo alla questione della democrazia e dei diritti: fare affari con uno stato autoritario e repressivo come l’Egitto di Al Sisi fa scadere l’Italia in termini di standard democratici. Qui si sta elevando un interesse particolare, quello dell’industria militare italiana, al rango di interesse nazionale”.

Subito dopo l’arrivo del via libera alla vendita del materiale bellico, la Commissione parlamentare d’inchiesta sull’omicidio di Giulio Regeni ha chiesto chiarimenti al presidente del Consiglio Conte, invitandolo in un’audizione preliminare. Erasmo Palazzotto, presidente della Commissione d’inchiesta, ha preso posizione dicendo che la scelta del Governo rischia di pregiudicare la ricerca di verità e giustizia, inviando un messaggio sbagliato, ovvero che la morte di Giulio Regeni appartiene al passato. “Il fatto che l’affare sia stato portato avanti dal Governo attraverso il contatto personale tra Conte e Al Sisi, senza un passaggio in Parlamento, è motivo di grande preoccupazione e allarme – spiega Brighi –. Con questa scelta, l’Italia sta direttamente sostenendo la politica estera dell’Egitto, che destabilizza la regione del Medioriente e in particolare la Libia, e sta anche armando la repressione interna di Al Sisi, che ha portato tra l’altro all’incarcerazione dell’attivista Patrick Zaky, studente dell’Università di Bologna: non dimentichiamoci che se il regime è riuscito a rintracciare e sorvegliare Regeni, è stato anche grazie ai software venduti dall’Italia. Il nostro paese non può essere complice di tutto questo: la morte di Giulio ha portato a galla queste contraddizioni”. 

Ma questa non è altro che l’ultima di una serie di mosse che negli ultimi anni hanno portato all’avvicinamento tra i due paesi. Italia e Egitto hanno avuto scambi e relazioni sempre più importanti, a partire dalla questione energetica, con l’Eni che ha trasformato l’Egitto in un paese chiave per l’estrazione petrolifera, passando per il settore migratorio, con la firma di accordi sull’immigrazione illegale, fino ad arrivare alla stretta collaborazione nella lotta contro il terrorismo, a livello di polizia e armamenti. “La morte di Giulio Regeni purtroppo non è stato uno spartiacque in questo senso, e non ha interrotto il grande riavvicinamento tra i due paesi, tanto che nel 2017 l’allora ministro degli Esteri Angelino Alfano ha definito l’Egitto un partner ‘ineludibile’, annunciando il ritorno dell’ambasciatore al Cairo – conclude Brighi –. Niente in confronto all’impatto che avrebbe questa compravendita di armi, che è già stata definita la ‘commessa del secolo’. Comunque, siamo ancora in tempo per fermarla: speriamo nella mobilitazione della società civile e nel lavoro della Commissione d’inchiesta su Regeni. Questa può essere l’occasione di far emergere le grandi contraddizioni della nostra politica e di chiedere conto non solo agli attori egiziani, ma anche a chi in Italia ha sempre seguito i propri interessi a discapito dei diritti”.

Alice Facchini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)