I Pfas sono cancerogeni, cresce l’apprensione

Ricerca scientifica A fine novembre la rivista scientifica Lancet ha reso noti nuovi dati sulla pericolosità dei contaminanti che dalla Miteni di Trissino si sono diffusi in mezzo Veneto. Tra le categorie più preoccupate, le Mamme No Pfas e gli ex lavoratori dell’azienda

I Pfas sono cancerogeni, cresce l’apprensione

A fine novembre, a Lione in Francia, di fronte agli esperti della Iarc (l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) si sono presentati 30 scienziati da undici Paesi nel mondo per confermare l’esito dei loro studi sugli acidi perfluoroalchilici. I risultati – riportati dall’importante rivista scientifica Lancet – si sono rivelati di grande rilevanza. Le due principali molecole di Pfas, le più usate fino a cinque anni fa e per questo le più diffuse, sono state dichiarate: il Pfoa certamente cancerogena (e non più potenzialmente cancerogena), mentre il Pfos è ora «possibilmente cancerogeno» per l’organismo umano, sulla base di una serie di sperimentazioni condotte in laboratorio sugli animali e delle osservazioni condotte sulle persone residenti in siti contaminati. Si tratta dei due composti che da otto anni le Mamme No Pfas portano stampati sulle loro magliette, attraverso le quali hanno denunciato all’opinione pubblica la concentrazione di queste sostanze chimiche nel sangue dei loro figli. E parliamo di concentrazioni che spesso superano i 200 nanogrammi per millilitro di sangue (il limite indicato dalla Regione Veneto è di 8 nanogrammi). Quando sono stati resi noti quei dati, era l’aprile del 2015, per tutta la popolazione del plume della contaminazione è stato uno shock. Centinaia di migliaia di veneti, residenti tra le province di Vicenza, Verona e Padova, si sono resi conto che quegli Pfas, di cui mai si era parlato prima della ricerca condotta due anni prima dal Cnr, avevano a che fare con la loro stessa vita. Eccome. «Oggi queste nuove evidenze scientifiche – ci scrivono le Mamme – rendono ancora più chiaro come non sia più possibile minimizzare su questa contaminazione in atto da oltre 50 anni». La storia infatti è quella nota alle cronache dello stabilimento chimico Miteni di Trissino, nell’Ovest Vicentino. Una fabbrica nata negli anni Sessanta in seno al gruppo Marzotto e già finita al centro di un altro caso di inquinamento nel 1977, quando una vasta porzione di territorio dovette essere servita da autobotti per mesi. Passata di mano più volte fino ad arrivare alle multinazionali Mitsubishi ed Eni (da cui Miteni) nel 2009 è stata vendita per un solo, simbolico, euro al colosso chimico tedesco con sede in Lussemburgo Icig. Dopo l’esplosione mediatica del caso, e l’impegno di molti cittadini attivi oltre alle Mamme No Pfas, presso la Corte d’assise di Vicenza è stato aperto il procedimento penale contro quindici manager Miteni di diverse epoche storiche, per avvelenamento delle acque e disastro ambientale.

Il caso riguarda un territorio vastissimo, in costante allargamento, poiché la falda acquifera sotterranea tende a fluire verso il mare contaminando i terreni. Già oggi la Bassa Padovana e il Montagnanese in particolare (con il torrente Fratta Gorzone in primo piano) sono nella zona rossa dell’inquinamento. E tuttavia, a presentare una concentrazione di Pfas nel sangue senza precedenti sono proprio i lavoratori della Miteni, anche con 14 mila nanogrammi per millilitro. Uno studio della Regione aveva comprovato per loro una mortalità superiore alla media per una serie di patologie tra cui alcuni tumori. Si tratta degli stessi lavoratori che un mese fa si sono visti archiviare definitivamente il filone d’inchiesta, aperto dopo un esposto della Cgil di Vicenza, che puntava a verificare eventuali responsabilità della dirigenza sulla loro situazione. Ora che il Pfoa è stato dichiarato cancerogeno, il sindacato sta pensando a nuove mosse da mettere in campo. Nel frattempo avanzano verso Est i cantieri della Tav che oggi lambiscono Vicenza, ma nei prossimi anni toccheranno anche Padova. Il nesso tra le grandi opere e la diffusione di contaminanti è stato provato dall’indagine aperta giugno 2022 da parte dell’Arpa Lombardia dopo che nella falda acquifera tra Lonato e Desenzano (Bs), nei pressi dei cantieri dell’Alta velocità, si erano riscontrati livelli di Pfas superiori ai limiti di legge. Da due anni, questi stessi cantieri stanno attraversando i territori più contaminati dagli sversamenti di Miteni. Escavare terreni inquinati e utilizzare acqua piena di Pfas per lavare i macchinari e proseguire i lavori rischia di facilitare l’espandersi di queste sostanze attraverso l’aria, oltre che colpire i lavoratori. Per queste ragioni, una serie di associazioni vicentine tra cui Pfas.land, la Rete Gas Vicentina e Cillsa stanno valutando un esposto per sensibilizzare le autorità competenti sul rischio che potrebbe derivare dall’interazione tra cantieri e sostanze tossiche.

Il 23 novembre il prof. Grandjean sentito a processo
prof-Grandjean

«Esiste una documentazione sostanziale che dimostra una chiara associazione tra esposizione a Pfas ed effetti avversi sulla salute umana nella popolazione generale, soprattutto a livelli elevati, come quelli osservati nella “zona rossa” del Veneto». Così il prof. Philippe Grandjean massimo esperto sui Pfas, durante la sua deposizione al processo in corso a Vicenza.

Il giallo dello studio epidemiologico

Nel maggio del 2016 la Regione Veneto aveva approvato con una delibera di Giunta uno studio epidemiologico sulla popolazione esposta all’inquinamento. Una ricerca che ha l’obiettivo di stabilire quali danni eventuali alla salute abbia prodotto l’esposizione da Pfas. Da allora, tuttavia nulla si è mosso, e il tema è tornato alla ribalta in piena estate con la deposizione al processo ai quindici manager Miteni da parte di Pietro Comba, epidemiologo dell’Istituto superiore di sanità, nella quale parlava dell’avvio di tale studio slavo poi essere stato bloccato. A ottobre, la Regione aveva dichiarato tutto il suo impegno in questi anni, in termini di biomonitoraggi e studi sul profilo della salute della popolazione, ma non aveva spiegato come mai uno studio epidemiologico, che permetterebbe anche di stabilire in sede processuale il nesso di causa-effetto tra sversamento ed eventuali patologie, non sia mai stato realizzato. Sempre a ottobre risale l’incarico ad Azienda Zero di valutare ulteriori azioni da compiere insieme all’Iss.

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