Inapp: per una donna su due la ripresa è precaria

Nel 2021 il 49% lavora part time, al sud più incidenza dell’indeterminato. Fadda: “La pandemia ha acuito le diseguaglianze di genere, intervenire non con iniziative spot”

Inapp: per una donna su due la ripresa è precaria

"La ripresa della post pandemia è all'insegna della precarietà e della discontinuità occupazionale per le donne". È questa la fotografia della ripresa nel 2021 scattata dal 'Gender Policies Report', elaborato dalla Struttura Mercato del lavoro dell'Istituto nazionale per le analisi delle politiche pubbliche (Inapp) e presentato questa mattina all'Auditorium della sede Inapp di Roma. Il rapporto, diviso in nove capitoli, spazia dal contesto demografico al mercato del lavoro, per concentrarsi su un'analisi delle principali politiche innovative in ottica di genere (Pnrr e 'gender procurement') e del sistema di relazioni industriali in prospettiva di genere.

Il report

Secondo i dati del report, sono a tempo indeterminato solo il 14% dei nuovi contratti e solo il 38% delle stabilizzazioni da altre forme contrattuali. Inoltre, di tutti i contratti femminili, il 49,6% è a tempo parziale, contro il 26,6% degli uomini. Si ampliano quindi i divari di genere, di occupazione e di retribuzione, e allo stesso tempo si acuiscono i divari territoriali.

"In questo anno e mezzo di pandemia le donne hanno dovuto affrontare uno 'stress test' particolare, dovendo moltiplicare gli sforzi e spesso trovandosi di fronte al bivio di scegliere tra lavoro e famiglia- ha spiegato il presidente dell'Inapp Sebastiano Fadda- L'aumento delle diseguaglianze di genere è cresciuto e parte da un dato strutturale dell'occupazione che vede al 67,8% il tasso di occupazione degli uomini e al 49,5% quello delle donne". E la pandemia, ha detto ancora Fadda, "non ha fatto che allargare questo divario, per questo occorre intervenire non tanto con bonus o iniziative spot ma iniziando a adottare, sin dalla fase di progettazione, una valutazione di quali possono essere gli effetti su uomini e donne di politiche concepite come universali e quindi neutre. Un metodo e una sfida che l'Europa ci chiede dal 2006 e che di recente ha ribadito lo stesso Parlamento europeo nella Risoluzione sul 'Next generation EU'. Purtroppo- ha concluso- la questione della scarsa quantità e qualità dell'occupazione femminile nel nostro Paese continua ad essere percepita come una questione di parte: la questione non è solo di pari opportunità di genere, ma di sviluppo economico di un Paese che continua a lasciare in panchina metà della sua formazione vincente".

Nel Rapporto si evidenzia che nel primo semestre del 2021 (ma la tendenza è in atto anche per i mesi successivi) i nuovi contratti attivati sono 3.322.634 di cui 2.006.617 a uomini e 1.316.017, (ossia il 39,6% del totale) a donne. Il 35,5%, prosegue il report, sono rivolti a giovani under 30, mentre oltre il 45% si colloca tra i 30 e i 50 anni senza rilevanti differenze di genere. Prevalgono per entrambi le forme contrattuali a termine, ma l'incidenza della precarietà e discontinuità per le donne è maggiore, con un ruolo prevalente della piccola impresa fino a 15 dipendenti.

La mappa delle regioni e la sorpresa del Mezzogiorno

Dal rapporto Inapp emerge inoltre che la ripresa non avviene alla stessa velocità e con lo stesso modello in tutte le regioni italiane. Pur nel dato comune che vede in tutte le regioni contratti stipulati a donne sempre inferiori rispetto a quelli degli uomini, da regione a regione il divario non è lo stesso: le donne sono un terzo del totale in Basilicata, Sicilia e Calabria. Sono sotto il 40% in Calabria, Molise, Puglia, Lombardia, Abruzzo e Lazio; tutte le altre si collocano tra il 41% e il 46,5%. L' incidenza più elevata viene registrata in Trentino-Alto Adige. Rispetto alla quantità di nuova occupazione creata, l'Italia presenta 4 scenari diversi, con oltre i 100.000 contratti a donne collocati in Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna e Veneto; dalle 50.000 alle 100.000 attivazioni in Toscana, Piemonte, Campania, Puglia e Sicilia; dai 15000 ai 99.000 contratti in Trentino-Alto Adige, Marche, Sardegna, Liguria, Abruzzo, Friuli, Calabria e Umbria; mentre al di sotto delle 15.000 attivazioni sono Basilicata, Valle d'Aosta e Molise.

"Ma- si legge nel Rapporto- se si associa questo dato alla percentuale di stabilità e alla quota di part time si evidenzia che maggiore occupazione non sempre determina automaticamente maggiore stabilità o maggiore redditività. Per questo è importante guardare alla ripresa nelle sue reali potenzialità di sostenere una buona occupazione nel lungo periodo". "Questo scenario- segnala ancora l'Istituto di ricerca sui numer emersi dal report- presenta, al momento, una conferma e una sorpresa: la conferma a livello regionale, del dato nazionale circa il traino sull'occupazione creata dalle forme a termine e discontinue e dall'elevata presenza del tempo parziale come condizione di ingresso.

 La sorpresa è il ruolo delle regioni del Mezzogiorno, che pur a fronte di un numero di attivazioni al di sotto delle 80.000 unità, presentano un'incidenza del tempo indeterminato superiore alla media nazionale e superiore a quella di diverse regioni del Centro nord. Meno contratti e più stabili, testimonierebbe il caso della Campania, con oltre 75 mila contratti e il 21,4% a tempo indeterminato. O la Sicilia con 59.230 contratti di cui il 17,7% a tempo indeterminato o la Calabria, in cui i 20.373 contratti presentano una quota stabile del 18%. Attenzione, tuttavia, ad un dato che riduce l'ottimismo- concludono i ricercatori e le ricercatrici- Proprio in queste regioni, accanto alla ridotta nuova occupazione continua a registrarsi la quota di tempo parziale femminile tra le più alte d'Italia, fattore che rappresenta una delle cause dei già elevati differenziali retributivi tra uomini e donne". (DIRE)

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)