La controffensiva ucraina e la riconversione mediatica: tra bagno di realtà e scenari futuri

Ora sarà opportuno spiegare come mai, dopo cotanti sacrifici, si sia tornati al punto di partenza, ma con un’Ucraina ridotta al fantasma di sé

La controffensiva ucraina e la riconversione mediatica: tra bagno di realtà e scenari futuri

Il conflitto in Ucraina ha ritrovato attenzione, sulla scia di due ammissioni: per Zelensky urge fortificare le difese viste le inattese avanzate russe su vari segmenti del fronte, mentre per Stoltenberg occorre prepararsi a notizie negative, poiché la guerra spesso riserva sorprese. Traducendo: un bagno di realtà per dichiarare che la controffensiva è fallita.

A rigore, per parlare di imprevedibilità serve trovarsi di improvviso smentiti nel presagio dell’immancabile vittoria, in questo caso data più volte per imminente, con ciò giustificando l’abolizione della parola “negoziato”. Ora invece, dall’Economist allo Spiegel, in molti confermano dati che già da tempo altri, con e senza lo stigma del putinismo, segnalano: la decimazione delle truppe ucraine sacrificate in assalti inutili; le rese concertate in prima linea su piattaforme criptate, simulando incursioni per non essere falcidiati dal fuoco amico dei reparti anti-diserzione; gli espatri per sottrarsi al reclutamento; le proteste contro la corruzione dei commissari militari. Oltreoceano si descrivono gli attriti tra il vertice politico e quello militare, con il generale Zaluzhny (spalleggiato da Budanov e dal sindaco di Kiev) a criticare l’ostinazione del governo su tattiche suicide. E si adombra l’isolamento di Zelensky: che incassa il secondo altolà del G20 e il secondo diniego alla visita a Tel Aviv; in calo di consenso interno (dato al 30%); occupato ad arginare la rivalità di astri (ri)nascenti (così viene letto il divieto a Poroshenko di recarsi in Polonia su incarico del parlamento). Il tutto a suggerire una demitizzazione – contraccolpo tipico della spettacolarizzazione – di cui, per alcuni esperti di comunicazione, sarebbe già sintomo la maschera in grigioverde in uso ad Halloween.

Perché queste riconversioni narrative? Conta l’opportunità di sganciarsi progressivamente dal fallimento, visti gli accenti sugli errori ucraini anziché sull’efficacia d’uso di armamenti e tattiche Nato, che si promettevano determinanti sottostimando la guerra d’artiglieria tradizionalmente praticata dalla Russia nel logorare il nemico in modo massivo e serrato. Più in generale, è ovvio il bisogno di rettificare i trascorsi trionfalismi belligeri. Che tuttavia non possono essere cancellati di colpo dalla memoria, come danno a intendere gli zibaldoni polemici che in queste ore, sulla rete, ripropongono le notizie oltre la soglia della credibilità divulgate dai media – anche blasonati – ridotti a cassa di risonanza dei dispacci ministeriali di Kiev: autosabotaggi di gasdotti e dighe, un esercito russo disarmato e al collasso, la Federazione in bancarotta e prossima allo smembramento, Putin agonizzante sostituito dai sosia, ecc. Forse verrà il momento per un serio bilancio, cominciando dall’errore di attribuire alle parti obiettivi geostrategici (per la Russia: l’occupazione di tutta l’Ucraina da cui lanciare la conquista dell’est Europa) o compiti (per l’Ucraina: punta di lancia atlantista per il futuro sgretolamento russo) improbabili, che ha inquinato la lettura multiattoriale di una crisi iniziata ben prima del 2022, riducendola a una partita manichea, un duello avvincente per cui ogni impegno diplomatico diventa esercizio ozioso. E con uno scollamento dalla realtà che poco giova alla “libertà di penna”, secondo Kant palladio di una ragione pubblica evoluta ed emancipata.

Ora sarà opportuno spiegare come mai, dopo cotanti sacrifici, si sia tornati al punto di partenza, ma con un’Ucraina ridotta al fantasma di sé, una Russia che occupa 5 regioni, più armata e in grado – a differenza delle società occidentali – di mobilitare un’economia di guerra, un’Europa meno armata, agitata da nuove rivalità interne, pil al palo e in cerca di gas (più costoso).

Guardando al domani, si consideri che il Congresso Usa ha ridotto da 111 miliardi a 126 milioni l’ultimo stanziamento proposto da Biden, cui preme presentarsi alle elezioni con un esercito ucraino ancora in grado di sparare qualche colpo. Ma nel 2024 si voterà anche in Russia e a Putin gioverà un successo certificato, anche per tacitare la fronda “ultrapatriottica” che spinge per prendere Odessa.  In effetti, sul versante negoziale qualcosa si muove, prefigurando la rimozione di Zelensky. Fonti non pagate in rubli parlano di una bozza in 4 punti: accettazione de facto dell’annessione di Luhansk, Donetsk, Cherson, Zaporizhzhia; riconoscimento de iure della Crimea russa; neutralità militare ucraina; integrazione di Kiev nell’Ue. Il che, a ben ricordare, ricalcherebbe la proposta anteguerra del Cremlino, con una differenza: allora si parlava del solo Donbass separatista (Luhansk e Donetsk) e in termini di indipendenza, anziché di annessione.

Quanto all’ingresso in Ue, sarebbero superabili le resistenze ungheresi e slovacche, che guardano al rischio di portare la guerra in casa in caso di riaccensione del conflitto, nonché di imbarcare uno Stato fallito, quale l’Ucraina non era due anni fa. Il vero scoglio riguarderebbe l’indisponibilità russa a un accordo territoriale senza solide garanzie atte a escludere nuovi tentativi di estendere la Nato al suo confine meridionale con imbottigliamento nel Mar Nero. Nel dubbio, Mosca potrebbe pensare di tenere lontana la Nato con un conflitto a tensione bassa e intermittente.

Sono solo ipotesi, sicuro è solo il dovere di tenere fede allo slogan “con l’Ucraina fino alla fine”. A patto che per “fine” non si intenda quella di un Paese infine abbandonato alla desolazione del paesaggio postbellico. Sia invece la svolta del nuovo inizio invocato instancabilmente da Papa Francesco, da accompagnare con il coraggio della pace, lungimiranza e intelligenza politica.

Giuseppe Casale*

*Pontificia università lateranense

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Fonte: Sir