La povertà è ereditata nel 59% dei casi. La mobilità sociale interessa solo la classe medio-alta

Caritas Italiana ha condotto il primo studio nazionale su un campione rappresentativo di beneficiari Caritas al fine di quantificare le situazioni di povertà ereditaria nel nostro Paese. Nelle Isole e nel Centro il dato risulta ancora più marcato: pari rispettivamente al 65,9% e al 64,4%

La povertà è ereditata nel 59% dei casi. La mobilità sociale interessa solo la classe medio-alta

In Italia il raggio di mobilità sociale ascendente è corto e sembra funzionare prevalentemente per chi proviene da famiglie di classe media e superiore; per chi si colloca sulle posizioni più svantaggiate della scala sociale si registrano invece scarse possibilità di accedere ai livelli superiori (da qui le espressioni “dei pavimenti e dei soffitti appiccicosi”, “sticky grounds e sticky ceilings”). Lo dice il l 21° Rapporto su povertà ed esclusione sociale dal titolo “L’anello debole”. Caritas Italiana ha, infatti, condotto il primo studio nazionale su un campione rappresentativo di beneficiari Caritas al fine di quantificare le situazioni di povertà ereditaria nel nostro Paese.

Complessivamente nelle storie di deprivazione intercettate, i casi di povertà intergenerazionale pesano per il 59%; nelle Isole e nel Centro il dato risulta ancora più marcato, pari rispettivamente al 65,9% e al 64,4%; il nord-Est e il Sud risultano le macro-aree con la più alta incidenza di poveri di prima generazione. Il rischio di rimanere intrappolati in situazioni di vulnerabilità economica, per chi proviene da un contesto familiare di fragilità, è di fatto molto alto. Il nesso tra condizione di vita degli assistiti e condizioni di partenza si palesa su vari fronti oltre a quello economico. In primis nell’istruzione. Le persone che vivono oggi in uno stato di povertà, nate tra il 1966 e il 1986, provengono per lo più da nuclei familiari con bassi titoli di studio, in alcuni casi senza qualifiche o addirittura analfabeti (oltre il 60% dei genitori possiede al massimo una licenza elementare).
E sono proprio i figli delle persone meno istruite a interrompere gli studi prematuramente, fermandosi alla terza media e in taluni casi alla sola licenza elementare; al contrario tra i figli di persone con un titolo di laurea, oltre la metà arriva ad un diploma di scuola media superiore o alla stessa laurea. Anche sul fronte lavoro emergono degli elementi di netta continuità. Più del 70% dei padri degli assistiti Caritas risulta occupato in professioni a bassa specializzazione. Per le madri è invece elevatissima l’incidenza delle casalinghe (il 63,8%), mentre tra le occupate prevalgono le basse qualifiche.
Il raffronto tra le due generazioni mostra che circa un figlio su cinque ha mantenuto la stessa posizione occupazionale dei padri e che il 42,8% ha invece sperimentato una mobilità discendente (soprattutto tra coloro che hanno un basso titolo di studio). Più di un terzo (36,8%) ha, invece, vissuto una mobilità ascendente in termini di qualifica professionale, anche se poi quel livello di qualifica non trova sempre una corrispondenza in termini di impiego (data l’alta incidenza di disoccupati) o un adeguato inquadramento contrattuale e retributivo, vista l’alta incidenza dei lavoratori poveri.

In particolare, la ricerca ha dato voce alle persone provenienti da contesti familiari in cui la povertà è stata trasmessa per almeno tre generazioni e ha coinvolto operatori e volontari delle Caritas, operatori sociali di istituzioni e di enti del Terzo Settore. Emerge un quadro in cui ai fattori fondamentali che determinano la trasmissione della povertà (educativa, lavorativa ed economica), si aggiungono la dimensione psicologica (bassa autostima, sfiducia, frustrazione, traumi, mancanza di speranza e progettualità, stile di vita “familiare”), conseguenza di un vissuto lungamente esposto alla povertà e una più ampia dimensione socio-culturale (territorialità, contesto familiare, individualismo, sfiducia nelle istituzioni e nella comunità, povertà culturale), che coinvolge tutta la società ma si amplifica nelle fasce di popolazione in situazione di disagio.

Ne deriva la necessità di interventi e presa in carico che vadano oltre gli indispensabili aiuti materiali che, nel caso delle povertà multigenerazionali, non appaiono sempre risolutivi. I due elementi chiave nelle storie con esito positivo sono la cura della relazione di fiducia con accompagnamenti prolungati nel tempo e l’inserimento attivo nelle comunità, costruendo reti di sostegno e di reciprocità, sensibilizzando e attivando le comunità alla prossimità. “Nessuno merita di essere dimenticato”, afferma una delle persone intervistate, una sollecitazione e un invito alla fraternità e al superamento di stigmi e preconcetti verso gli ultimi che talvolta limitano inconsapevolmente il percorso delle persone in situazione di disagio multidimensionale e reiterato.

Nel report è contenuta anche un’indagine in 10 paesi europei, realizzata con la collaborazione di Caritas Europa e Don Bosco International, avente come obiettivo lo studio della delicata fase di transizione scuola- lavoro, riferita a giovani e adolescenti che vivono in famiglie in difficoltà e che sono intercettate da Caritas o da Centri di Formazione Professionale (CFP) dei Salesiani. Secondo i dati raccolti presso un campione di giovani in cinque paesi, il 41,3% di essi ha vissuto in famiglia gravi problemi economici a causa del Covid; il 44,1% riceve aiuto per pagare le spese scolastiche; il 37,4% non si sente preparato per continuare gli studi; il 57,1% non si sente pronto ad entrare nel mondo del lavoro; il 78,6% non è stato aiutato da nessuno a scuola per orientare il proprio futuro. L’ascolto dei direttori dei CFP Salesiani conferma l’impatto del Covid-19: per almeno quattro studenti su cinque, la pandemia ha influito significativamente nella pianificazione del loro futuro, soprattutto in termini negativi. Tenendo conto che il 90,5% dei ragazzi intervistati non ha mai partecipato ad esperienze di scambi internazionali, appare importante l’attività di sostegno fornita su questo ambito dai CFP (47 centri su 67).

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)