La rivincita delle materie prime. Con pandemia e guerra abbiamo riscoperto le care materie prime, care in tutti i sensi

Oggi tutti vogliono proprio le materie prime, senza le quali non costruisci il prodotto.

La rivincita delle materie prime. Con pandemia e guerra abbiamo riscoperto le care materie prime, care in tutti i sensi

Negli ultimi anni un po’ tutti ci eravamo convinti che il vero valore aggiunto – in economia – fosse l’immateriale: il brand, il design, la comunicazione e l’immagine, i “servizi” di qualsiasi genere, insomma tutto ciò che nobilita e rende desiderabile la materia prima.

Pandemia, guerre e tutto ciò che è accaduto in questi ultimi due anni stanno ribaltando ogni paradigma: abbiamo riscoperto le care materie prime, care in tutti i sensi. Gli idrocarburi che avevamo smesso di cercare e a volte estrarre in vista del futuribile idrogeno; l’acciaio senza il quale mezza industria mondiale si ferma o rallenta; addirittura le produzioni agricole, snobbate come pària dell’economia italiana, e non solo. Chi seminava più il grano, non redditizio? Chi piantava limoni od olivi? Chi si interessava dei boschi?

Così le campagne languivano assieme agli agricoltori, gli allevamenti chiudevano, le fabbriche si spostavano laddove la manodopera costava meno, le trivelle venivano chiuse, la più grande acciaieria italiana si baloccava in enormi traversie legali esattamente nel momento sbagliato.

Perché oggi tutti vogliono proprio le materie prime, senza le quali hai voglia di costruire un’efficace immagine di un prodotto: non costruisci proprio il prodotto! Senza la farina, si blocca mezza industria agroalimentare; i negletti olii di semi sono diventati preziosi; non parliamo di carbone, ferro, rame, platino, metalli rari; non si trova più nemmeno il legno per costruire umili cassette della frutta.

Abbiamo poi scoperto che la modernità è fatta di microchip: ce ne sono decine in una singola automobile (ancor di più in quelle del prossimo futuro), e poi negli smartphone, pc, tablet, macchinari industriali, mezzi di trasporto, caldaie… Solo che non li produciamo, almeno qui in Europa.

Ora si cambia direzione, fare la ricca Disneyland che acquista prodotti realizzati da altri non va bene, se si vuole mantenere l’aggettivo “ricca” per la nostra Europa.

Ritornano i campi, le semine, le fabbriche, le miniere. C’è solo un piccolo particolare, che nessuno considera: chi andrà a lavorare nei campi, nelle fabbriche, nelle cave? I nostri (pochi) figli? Mmh…

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Fonte: Sir