Lavoro. I migranti fanno guadagnare allo Stato 6,5 miliardi di euro

Continua ad essere positivo il contributo degli immigrati all’economia italiana e al suo sistema di protezione sociale: il saldo tra spese (28,2 miliardi di euro) e introiti (34,7 miliardi di euro) dello Stato segnato un guadagno fortemente cresciuto rispetto al 2020 grazie alla ripresa post-pandemica dei settori in cui gli stranieri sono più impiegati

Lavoro. I migranti fanno guadagnare allo Stato 6,5 miliardi di euro

In ripresa il lavoro per i migranti in Italia, che fanno guadagnare allo Stato 6,5 miliardi di euro. Lo dice il Dossier statico immigrazione di Idos, presentato oggi a Roma. Stando ai dati nel 2022 in Italia l’occupazione è tornata ai livelli del 2019, ma con una crescita differenziata per cittadinanza: più forte per gli stranieri (+5,2%) che per gli italiani (+2,1%). I primi registrano anche incrementi lavorativi differenziati per genere (+5,9% gli uomini e +4,3% le donne), cosicché gli occupati maschi superano di circa il 4% la loro consistenza numerica del 2019, mentre il numero delle lavoratrici è ancora del 5% più basso. Queste ultime, su un totale di 2.374.000 occupati stranieri (1.385.000 uomini e 990.000 donne), incidono solo per il 42,2%, rimanendo dunque in proporzione più escluse dal lavoro. Viceversa, tra i 324.000 disoccupati stranieri (147mila uomini e 177mila donne), esse pesano per il 54,6%, anche a causa del lavoro sommerso, più diffuso nei settori in cui generalmente sono impiegate.

Complessivamente, dunque, gli stranieri incidono per il 10,3% sul totale degli occupati e per il 16,0% sui disoccupati. Inoltre, la loro incidenza sul totale dei lavoratori ha una forte variabilità: meno dell’1% nei servizi generali delle amministrazioni pubbliche, circa il 2% nel settore del credito e assicurazioni e in quello dell’istruzione, 15,6% nelle costruzioni, 17,0% negli alberghi/ristoranti e in agricoltura, 62,2% nei servizi alle famiglie. Il loro tasso di occupazione, dopo due anni in cui era risultato più basso, torna a superare lievemente quello degli italiani (60,6% a fronte del 60,1%), aumentando soprattutto per albanesi e marocchini (+5,9 e +4,8 punti percentuali), unici a superare, insieme a indiani e romeni, i livelli del 2019, grazie soprattutto alla ripresa di settori quali l’industria, le costruzioni, il commercio e l’agricoltura.

Non è però cambiata la rigida divisione del lavoro per cittadinanza e genere, con più di un terzo delle lavoratrici straniere (34,0%) impiegate nei servizi domestici o di cura alle famiglie (2,4% le italiane) e il 42,2% degli uomini occupato nell’industria e nelle costruzioni (35,6% gli italiani). L’Italia continua a occupare massivamente gli stranieri in attività manuali e a bassa qualifica, da cui derivano retribuzioni inferiori: i non comunitari dipendenti da aziende del settore privato percepiscono, secondo l’Inps, il 31,2% in meno della media nella stessa categoria (15.707 euro annui rispetto a 22.822). Questa compressione dei salari ha ridotto, tra l’altro, anche la loro capacità di risparmio, scesa dal 38% del reddito nel 2017 al 27% nel 2022. Ne è conseguito che gli stranieri titolari di conto corrente, sebbene siano continuati a crescere, hanno ridotto il numero e le tipologie di prodotti e servizi finanziari utilizzati.

Permangono anche tutti gli altri indicatori di un mercato del lavoro subalterno: gli stranieri più di 6 volte su 10 svolgono professioni non qualificate o operaie (61,9% vs 30,5% degli italiani); per oltre il 50% lavorano in sole 14 professioni, mentre gli italiani in 45, e, nel caso delle donne, in 4 professioni (collaboratrici domestiche, badanti, addette alla pulizia di uffici ed esercizi commerciali, cameriere), a fronte di 20 tra le italiane; nel 33,1% dei casi sono sovraistruiti (25,2% gli italiani) e per le donne il tasso si alza al 42,2% (26,5% le italiane); per ben un terzo (33,5%) svolgono un lavoro non standard/a termine (dipendenti a tempo determinato e collaboratori) e/o in part-time involontario, percentuale che tra le donne sale al 40,7% (26,3% le italiane).

Pur a fronte di questo quadro, continua ad essere positivo il contributo degli immigrati all’economia italiana e al suo sistema di protezione sociale: nel 2021 il saldo tra spese (28,2 miliardi di euro) e introiti (34,7 miliardi di euro) dello Stato imputabili all’immigrazione ha segnato un guadagno per l’erario pubblico di 6,5 miliardi di euro, fortemente cresciuto rispetto al 2020 (circa 1 miliardo di euro in più) grazie alla ripresa post-pandemica dei settori in cui gli stranieri sono più impiegati.

Analogamente, dal 2011 al 2021, se le imprese in capo a italiani sono diminuite del 4,1%, quelle gestite da immigrati sono cresciute del 41,5%. Nel 2022, con ulteriori 5.000 nuove attività aperte nell’anno (+0,8%), le imprese immigrate operanti in Italia si avvicinano a quota 650.000 (il 10,8% del totale). A crescere sono soprattutto l’imprenditorialità femminile (pari al 24,6% delle attività a conduzione immigrata) e le società di capitali, più che raddoppiate dal 2011 al 2021 (+149,9% e +65.000).

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)