Niger, medici e psicologi aiutano i migranti in fuga dalla Libia

Nel campo allestito dall’Unhcr ad Agadez, snodo centrale delle rotte migratorie, il team medico-psicologico del Medu assiste oltre 1.600 rifugiati sopravvissuti a traumi e violenze. “All’Europa chiediamo di aprire nuovi corridoi umanitari”

Niger, medici e psicologi aiutano i migranti in fuga dalla Libia

Nel cuore della notte africana, Najm non riesce a dormire. Allora scende dal letto, si allontana dalla sua casetta di plastica e si mette a camminare nella sabbia del deserto che circonda il campo dove vive da qualche mese. Ha sei anni e va scuola, ma non riesce a concentrarsi, a volte si rifiuta di mangiare e diventa aggressivo con i compagni.

Najm è uno degli oltre 1.600 rifugiati che vivono nel campo umanitario istituito dall’Unhcr in Niger, a 15 km dalla città di Agadez, situata al confine con il Sahara e nota come la “porta del deserto”, snodo centrale delle rotte migratorie della regione. È qui che dall’inizio dell’anno opera la ong Medici per i Diritti Umani (Medu), in partenariato con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite, con un progetto di supporto medico-psicologico ai migranti, in gran parte sudanesi, in fuga dalla Libia.

Anche Najm ha alle spalle un viaggio tormentato: scappato con sua madre dal Sudan quando gli hanno incendiato la casa nel loro villaggio nel Darfur, ha riportato gravi ustioni sul corpo e ha perso il padre, ucciso dalle milizie armate. Arrivati in Libia, per sei mesi lui e la mamma sono stati ostaggio di una banda criminale. Una volta liberi, hanno scelto l’unica via di fuga possibile: il deserto e poi il Niger.

“La storia di Najm non è un'eccezione: sono tanti i bambini e ragazzi che portano su di loro i segni di questo tipo di violenze – racconta Alberto Barbieri, coordinatore generale di Medu e responsabile del programma di salute mentale del progetto –. La loro vulnerabilità è altissima, poiché hanno sperimentato traumi estremi nel periodo più delicato dello sviluppo del corpo e della psiche”.

Ogni giorno il team di Medu, composto da medici, psichiatri, psicologi e mediatori culturali, supporta gli uomini, le donne e i bambini che vivono nel campo dell’Unhcr e che hanno subìto violenza e torture. Le condizioni di vita, però, sono precarie: le persone vivono in piccole casette di plastica, l’areazione è minima e la temperatura raggiunge anche i 45 gradi. Un ulteriore fattore di stress è la continua incertezza sul futuro: la maggior parte dei migranti ha avviato la procedura per ottenere la protezione internazionale in Niger, che però, essendo un Paese molto povero, non offre grandi prospettive. “Visto il dramma umanitario a cui stiamo assistendo, è necessario che i Paesi europei diano una risposta e attivino nuovi corridoi umanitari, soprattutto per i casi più delicati”, commenta Barbieri.

Il Niger è tra gli ultimi stati al mondo per indice di sviluppo umano, con un pil pro capite di circa mille dollari l’anno e una media di sette nascite per donna in età fertile. Con il cambiamento climatico, le crisi di siccità sono diventate sempre più frequenti, e questo ha aggravato l’instabilità politica, con l’aumento dei conflitti che coinvolgono anche gruppi terroristici: in particolare la minaccia viene dal sud, dalla Nigeria, con gruppi legati a Boko Haram, e dall'ovest, dal Mali, con cellule jihadiste legate ad Al Qaeda. Nel frattempo, i grandi giacimenti d’oro e di uranio attirano gli interessi economici delle potenze occidentali, mentre il Paese resta uno snodo fondamentale per il passaggio dei migranti che dall’Africa dell’ovest cercano di raggiungere l’Europa. Se fino a qualche anno fa erano moltissimi i giovani che da Agadez partivano diretti verso la Libia, dal 2015 una legge del governo nigerino ha vietato l’attività di trasporto di persone, portando a un calo drastico delle partenze.

“Oggi stiamo assistendo a un’inversione del flusso – conclude Barbieri –. Sono sempre di più quelli che tornano indietro dopo essere stati espulsi dai centri di detenzione libici o algerini: persone fortemente traumatizzate, con cicatrici profonde sia sul corpo che a livello psicologico, con problemi di depressione, ansia, sensi di colpa, attacchi di panico, insonnia, angoscia e continuo senso di minaccia… I traumi peggiori sono proprio quelli di tipo interpersonale, cioè provocati dalla violenza dell’uomo sull’uomo. E mentre migliaia di persone continuano a subire violenze e a volte morire durante il viaggio, al di là del Mediterraneo gli stati europei non possono continuare a ignorare questa tragedia”.

Alice Facchini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)