Salario minimo, "nel lavoro domestico diventa una stangata per le famiglie"

Studio di Acli Bologna. Per l'assistenza ad una persona non autosufficiente si passerebbe dagli attuali 1.050 mensili a 1.700, ma con un costo annuale per le famiglie di 27.800. E il rischio è che aumentino gli impieghi in nero. Alzare la paga oraria "non è sbagliato ma ci vogliono anche altre misure"

Salario minimo, "nel lavoro domestico diventa una stangata per le famiglie"

Salario minimo, sì o no? Cosa accadrebbe al mercato del lavoro nel sistema italiano? A Bologna le Acli provano a rispondere a questa domanda simulando l'introduzione di una paga minima di nove euro l'ora nel lavoro domestico. Un settore particolare, quello dei badanti e dei caregiver, ma anche addetti alle pulizie e babysitter, dove si stima che uno su due lavori in nero e dove i datori di lavoro sono le famiglie che fanno i conti con la propria disponibilità economica. E i risultati non convincono l'associazione. Secondo uno studio condotto dal patronato e presentato oggi, si 'scopre' infatti che sì il salario aumenterebbe, e di molto, passando dagli attuali 1.050 mensili a 1.700, cioè 650 euro in più, ma con un costo annuale per le famiglie di 27.800 rispetto ai precedenti 18.758, con un aumento di ben 9.000 euro. "Abbiamo pensato di proiettarci su quella che è la figura tipica dei settimanali a tempo pieno, quindi a 54 ore settimanali, convivente per assistenza a persone non autosufficienti", spiega Adelaide Borriello, consulente del lavoro del Patronato Acli.

Nel dettaglio, lo studio parte confrontando i salari 2022 con quelli 2023 alla luce dei nuovi aumenti dei minimi aggiornati agli indici Istat. "Già lì abbiamo notato un aumento del costo per le famiglie. Lo stipendio aumenta del 9,2%", passando da 960 euro a 1.050 euro, ma con costo annuo per le famiglie aumentato di 1.600 euro. In questa situazione, l'introduzione di un salario ipotetico di nove euro l'ora porterebbe a uno sbalzo eccessivo", portando appunto a un cifra dignitosa per quanto riguarda il dipendente (con 650 euro in più in busta) ma anche a una vera e propria mazzata per le famiglie con più di 9.000 euro in più l'anno di costi. Una cifra che in pochi potrebbero permettersi, secondo le Acli.

"Abbiamo trovato un dato dell'Inps che dice che la percentuale di anziani con la sola pensionbe che potrebbero permettersi una spesa" generata dal salario minimo, "scenderebbe dal 9,5% al 1,7%". Pertanto le conseguenze di questa misura, presa da sola, "fanno paura, perchè potrebbe causare un aumento del lavoro sommerso", considerato che "parliamo di famiglia che sì è datore di lavoro, ma pur sempre atipico, non è un'azienda", avvisano le Acli da Bologna

In base allo scenario attuale, dunque, per l'associazione cattolica il gioco non vale la candela, tanto più che i suddetti aumenti sarebbero incentrati "solo sulla retribuzione corrente e differita", agganciandosi alla variazione annuale dell'indice Istat dei prezzi al consumo, lasciando invariato "il trattamento pensionistico, l'assicurazione Inps e il costo annuale dei contributi" in quota sia al lavoratore che datore di lavoro, sottolinea Matteo Mariottini, direttore del patronato Acli.

Insomma, in questo caso il salario minimo sarebbe una misura sbagliata? "Le famiglie non sono imprese- precisa Filippo Diaco, presidente del Patronato Acli di Bologna- saremmo i primi a gioire con l'aumento dello stipendio a badanti e colf". Ma con questo scenario "c'è il rischio che i numeri del 'nero' aumentino", in un settore dove già è altissimo. La misura in sé però "non è sbagliata, perchè i livelli minimi retributivi in Italia sono per alcuni settori, sono bassi, come le cooperative, il lavoro interinale... Ma ci vogliono anche altre misure".

Nel caso in esempio, quello del lavoro domestico, "un lavoro silenzioso, che pochi conoscono, usurante e con un'età media alta", la politica "deve riflettere". In questo senso "abbiamo lanciato una petizione con più di 100.000 firme sulla deducibilità per l'assistenza alla persona e quindi vogliamo che davvero le spese della badante siano equiparate a quello delle spese mediche". Una richiesta che segue l'esempio di paesi come la Francia, dove c'è il "riconoscimento per i datori di lavoro, ovvero per le famiglie, sugli assegni e sul credito di imposta, che così recuperano una parte delle spese che sono state portate avanti". Non solo: "Un aumento salariale cui non consegua un adeguamento delle politiche di welfare rischia di far perdere dei benefici ai diretti interessati", avverte Chiara Pazzaglia, presidente provinciale delle Acli di Bologna- e i settori che sarebbero maggiormente coinvolti dalla misura sono proprio quelli in cui è maggiore il ricorso al lavoro nero e grigio".

Per questo "bisognerebbe prima studiare al meglio le variazioni Isee conseguenti all'adeguamento salariale, per non rischiare che un maggior reddito infici il welfare familiare". Secondo l'associazione prima del salario minimo bisognerebbe "diminuire la pressione fiscale sui datori di lavoro, diminuendo il gap esistente tra 'lordo' e 'netto' retributivo", anche perché "l'introduzione del salario minimo a nove euro in molti casi comporterebbe un aumento netto in busta paga di poche centinaia di euro l'anno, a fronte, magari, della perdita di altri bonus". (DIRE)

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)