Stipendi e caro vita. A parità di stipendio stiamo guadagnando circa il 15% in meno di due-tre anni fa

Tre milioni di dipendenti pubblici faticano sia ad avere retribuzioni dignitose, sia ad ottenere aumenti altrettanto dignitosi

Stipendi e caro vita. A parità di stipendio stiamo guadagnando circa il 15% in meno di due-tre anni fa

Se potessi avere mille euro al mese… Ma la richiesta di alcune forze politiche era molto più spinta: 9 euro all’ora come minimo, per qualsiasi mansione lavorativa anche la più insignificante, significava stipendi minimi di 1.600 euro (lordi) al mese. Poco realistico al Nord, addirittura fantascientifico nel Mezzogiorno. Meglio le contrattazioni collettive tra datori e sindacati di categoria; meglio casomai l’individuazione di un minimo salariale che tenga conto delle variabili usate da tutti i Paesi europei che hanno adottato tale provvedimento (in Italia si collocherebbe attorno ai 7 euro al mese, poco “spendibili” per la propaganda politica).

Ma il problema rimane: salari e stipendi in Italia stanno arrancando. Anche qualche anno fa, ma l’inflazione era minima e non ha eroso il potere d’acquisto come negli ultimi tempi. A parità di stipendio, sostanzialmente stiamo guadagnando circa il 15% in meno di due-tre anni fa. E se già prima non c’era da scialacquare…

Pesano sui nostri guadagni due macigni: metà degli stipendi, e degli eventuali aumenti salariali, sono falcidiati da oneri diretti e indiretti (tasse, contributi pensionistici, ecc…) per finanziare uno Stato che non riesce a far pagare le tasse a un lavoratore su quattro. Il quale gode dei servizi pubblici – e delle pensioni minime – facendoli pagare ad altri.

Poi, la questione produttività. In parole povere, l’Italia è un Paese che incrementa la sua ricchezza solo attraverso le imprese esportatrici (soprattutto) e in minor parte attraverso le entrate turistiche. Il resto, sono solo soldi che girano. Risultato: il nostro benessere degli ultimi decenni è sostanzialmente frutto di un’enorme quantità di debiti che abbiamo contratto. Dovessimo restituirne immediatamente solo un decimo, finiremmo in ginocchio.

Quindi i tre milioni di dipendenti pubblici – dagli insegnanti ai vigili del fuoco, dai medici ai ministeriali – faticano sia ad avere retribuzioni dignitose, sia ad ottenere aumenti altrettanto dignitosi. Cosicché la parte più pregiata di questo monte-stipendi (medici e infermieri) sta scappando a gambe levate verso chi paga di più, sguarnendo ospedali e case di riposo. Gli altri, si devono accontentare.

Nel privato, sta emergendo la grande differenza tra il fitto tessuto di piccole e piccolissime imprese (che pagano poco e faticano a pagare di più), e quelle grandi, multinazionali, esportatrici: se vogliono essere attrattive, devono allargare i cordoni della borsa, dopo aver allargato negli anni scorsi i cordoni del welfare aziendale.

Da lì i corposi aumenti di stipendio di certe banche e di molte medie aziende orientate all’export; da lì lo “scambio” di Luxottica o Lamborghini fatto con i dipendenti: stessi soldi, meno ore lavorate.

Il Governo ha messo una fiche (provvisoria) sul tavolo con un leggero abbattimento del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti. Ma qualche decina di euro in più in busta paga, se non fa schifo, non fa nemmeno saltare i tappi di champagne. È tutto il sistema che non sta più in piedi: pagare tutti (le tasse) per pagare meno è già oggi l’unica logica che lo salverà.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Sir