Una nuova zoonosi. Cosa sappiamo del vaiolo delle scimmie

Questa infezione virale, trasmessa dagli animali all’uomo (zoonosi), è causata dal “monkeypox virus” (MPXV), un virus a DNA a doppio filamento avvolto.

Una nuova zoonosi. Cosa sappiamo del vaiolo delle scimmie

Non bastava la “interminabile” pandemia da covid-19 a crearci problemi e preoccupazioni. Già da qualche mese un’altra seria infezione virale ha fatto capolino nelle nostre comunità, facendo squillare un campanello d’allarme: si tratta del “vaiolo delle scimmie” (monkeypox – MPX). Questa infezione virale, trasmessa dagli animali all’uomo (zoonosi), è causata dal “monkeypox virus” (MPXV), un virus a DNA a doppio filamento avvolto, appartenente al genere Orthopoxvirus, della famiglia Poxviridae (la stessa famiglia del vaiolo). Il primo caso confermato in Italia risale al 20 maggio 2022, ma – data la nota “ignoranza” dei virus riguardo i confini nazionali – la sua diffusione procede speditamente, tanto che il 23 luglio scorso l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha dichiarato il vaiolo delle scimmie “emergenza sanitaria globale”, formulando una serie di raccomandazioni per prevenirla. Tuttavia, almeno nel nostro Paese, i casi mostrano una tendenza alla stabilizzazione (l’ultimo bollettino parla di 740 casi accertati) e, pur rimanendo sotto costante monitoraggio, non si ritiene al momento debbano destare particolari allarmismi.

Il “vaiolo delle scimmie” è così chiamato perché l’infezione fu identificata per la prima volta nelle scimmie nel 1958, mentre il primo caso nell’uomo risale al 1970. Il vaiolo delle scimmie è endemico (ovvero stabilmente presente nella popolazione) nelle regioni della foresta pluviale tropicale dell’Africa centrale e occidentale.

Il primo focolaio al di fuori dell’Africa è stato registrato del 2003 negli Stati Uniti e si trattava di un focolaio legato a un’importazione di mammiferi infetti. Dal 2018 al 2021 sono stati segnalati al di fuori dell’Africa 12 casi di vaiolo delle scimmie associati a viaggi. Nel 2022, per la prima volta, sono stati segnalati negli Stati membri dell’Unione Europea e nel mondo (in paesi non endemici) molti focolai non riconducibili ai viaggi o all’importazione di mammiferi. Da qui l’allarme ufficiale dell’OMS e l’impegno a collaborare con le autorità sanitarie dei diversi Paesi per prevenire un’ulteriore diffusione dell’infezione.

Per fortuna, per la maggior parte delle persone infettate, l’MPX è una malattia lieve-moderata e autolimitante. I sintomi tipici, riportati in letteratura, sono: febbre, mal di testa, brividi, stanchezza, astenia (debolezza generale), linfonodi ingrossati, mal di schiena, dolori muscolari. In genere dopo uno-tre giorni dall’inizio della febbre, si manifesta un’eruzione cutanea. Le lesioni cutanee evolvono in vescicole, pustole e croste, diffuse in varie aree del corpo. Nell’attuale focolaio epidemico, tuttavia, la loro distribuzione è atipica: predominano le lesioni ano-genitali, seguono tronco, braccia e gambe, viso e palmi delle mani e dei piedi. La maggior parte delle persone guarisce dal vaiolo delle scimmie in poche settimane senza trattamento.

Nelle aree endemiche, la circolazione di MPXV è probabilmente mantenuta attraverso diversi mammiferi, tra i quali i primati, con occasionali eventi di trasmissione all’uomo attraverso il morso o il contatto diretto con il sangue, la carne, i fluidi corporei o le lesioni cutanee/mucose degli animali infetti.

La trasmissione interumana, invece, si realizza attraverso il contatto fisico stretto, compresa l’attività sessuale. L’MPXV, dunque, può essere trasmesso a chiunque, indipendentemente dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere, attraverso il contatto con fluidi corporei, contatto con lesioni o oggetti condivisi.

“Il vaiolo delle scimmie – rassicura Jay Hooper, virologo dell’Army Medical Research Institute of Infectious Diseases degli Stati Uniti a Fort Detrick, in Maryland – non è SARS-CoV-2, il coronavirus responsabile della pandemia di COVID-19. Non si trasmette da persona a persona con la stessa facilità e, poiché è imparentato con il virus del vaiolo, esistono già trattamenti e vaccini per limitarne la diffusione. Quindi, anche se gli scienziati sono allarmati, perché ogni nuovo comportamento virale è preoccupante, non sono in preda al panico”.

In effetti, le autorità sanitarie non sono impotenti di fronte al vaiolo delle scimmie. Esistono infatti in alcuni paesi (ad es. USA) scorte di vaccini contro il vaiolo, oltre a un trattamento antivirale ritenuto altamente efficace contro il virus. Ma, per contenere l’eventuale aumento della diffusione del vaiolo delle scimmie, più che un intervento sanitario su larga scala (come per il covid-19), gli operatori sanitari ipotizzano piuttosto un metodo chiamato “vaccinazione ad anello”: in questo modo si vaccinerebbero i contatti stretti delle persone che sono state infettate dal vaiolo delle scimmie per interrompere qualsiasi via di trasmissione.

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Fonte: Sir