Il gol più importante del calcio femminile. Il professionismo nelle parole di Claudia Ferrato, attaccante padovana del Sassuolo

Uguaglianza storica. Finalmente viene riconosciuto il professionismo nel mondo calcistico femminile. Significa avere maggiori tutele: ora è un lavoro a tutti gli effetti

Il gol più importante del calcio femminile. Il professionismo nelle parole di Claudia Ferrato, attaccante padovana del Sassuolo

Professioniste. Finalmente lo dice anche la legge. Dal prossimo luglio la Serie A di calcio femminile diventerà professionistica. La svolta, ratificata a fine aprile dalla Figc, non è che la naturale conclusione di un iter iniziato con la legge di bilancio nel 2019, all’indomani dell’exploit della Nazionale di Milena Bertolini ai mondiali francesi. Fino a oggi professionisti erano soltanto i maschi: calciatori, pugili, ciclisti, piloti, golfisti e cestisti. Il calcio è il primo sport femminile a “rompere il soffitto di cristallo”, ora tocca alle altre federazioni valutare il grande salto in tema di previdenza, maternità e pensione. Claudia Ferrato, padovana classe 1996, nata all’Arcella e cresciuta calcisticamente nel Padova, dal 2018 gioca nel Sassuolo in Serie A. Attaccante di razza, ha continuato a dividere la sua vita tra il calcio e lo studio. «Il professionismo è un traguardo importante per lo sport femminile, non solo per il calcio. Non è una rivoluzione a livello monetario, non guadagneremo come gli uomini come ho letto tanti scrivere in questi giorni. Ed è una fortuna, dico io, dato che ne risentirebbe la purezza del movimento. Quello che ci interessa davvero sono le tutele legali e il vederci riconosciuto un impegno che non è minore a quello dei nostri colleghi, dato che ci alleniamo esattamente come loro. Ho 25 anni, ma per lo Stato è come se non avessi mai lavorato un giorno nella mia vita».

In questi anni è cresciuta l’attenzione verso il movimento: partite in tv, squadre femminili associate ai club maschili...

«La nostra Nazionale ha fatto davvero un ottimo lavoro, mettendo sotto gli occhi di tutti che cos’è il calcio femminile, in particolare il lato umano che lo contraddistingue. L’associazione con i club maschili ci ha garantito, oltre alla visibilità, strutture, staff e tutele. Per ora il calcio femminile non porta alle società grandi introiti, ma un grande ritorno di immagine».

Ora anche nelle nostre parrocchie sempre più bambine corrono dietro a un pallone con qualche sogno in più.

«I genitori fino a qualche anno fa facevano maggiore resistenza, ora non più. Secondo me, però, è giusto che almeno fino ai 12 anni maschi e femmine giochino insieme. Si vede quando una ragazza, da piccola, si è allenata con i maschi: ha un carattere più temprato».

Quando si cresce però qualcosa cambia…

«Il calcio femminile ha ritmi diversi rispetto al maschile. Non assistiamo agli stessi gesti atletici, ma nel femminile si vede più spirito di sacrificio, più gioco di squadra, più tecnica. Chi parla di gioco meno veloce dovrebbe semplicemente lasciarsi andare allo spettacolo: vedrà che le emozioni sono ancora più intense nelle nostre partite».

Una contraddizione della nostra società: crescono gli spazi per lo sport femminile, ma continuano le battutine maschiliste.

«Molta gente non è ancora pronta a vedere la donna come atleta. Leggiamo tanti commenti sull’aspetto estetico di questa o quella calciatrice, o sul fatto che le “femmine” debbano starsene in cucina. Una “papera” nel calcio femminile viene giudicata con più cattiveria rispetto agli stessi errori che vediamo nel maschile, ma spesso chi fa battute sulla qualità del gioco non va a giocare al campetto perché non sa nemmeno allacciarsi gli scarpini».

Progetti per il futuro?

«Vorrei giocare, è ciò che mi piace di più al mondo. Per via degli infortuni non mi sono potuta ancora godere davvero la carriera. Quando terminerò, mi piacerebbe lavorare in uno staff a fianco dei calciatori con l’abilitazione di nutrizionista».

Nella Chiesa di Padova il Sinodo ci porta a farci tante domande. Il ruolo dello sport nelle comunità è una di queste.

«Io sono ottimista: lo sport in generale, nelle nostre comunità, fa bene alle persone, mentalmente e fisicamente. Tante donne vivono situazioni delicate, uno sport di squadra pulito e puro come il calcio può aiutare loro molto. Il professionismo può essere uno stimolo per avvicinare molte ragazze allo sport, e può aprire orizzonti alle bambine. Nella vita si ha successo non se si è belle e “tirate”, ma se ci si impegna al 100 per cento, in questo caso nello sport che si fa».

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