La scuola “ai tempi del colera”. Forse abbiamo imparato più in questo mese di scuola “ai tempi del colera” che nel passato

Non dimentichiamo che i giovani hanno bisogno di andare a scuola e incontrarsi.

La scuola “ai tempi del colera”. Forse abbiamo imparato più in questo mese di scuola “ai tempi del colera” che nel passato

La scuola “ai tempi del colera” stringe i denti e si prepara alle nuove misure restrittive, previste per la prossima settimana.
E’ trascorso poco più di un mese dall’inizio delle lezioni e le criticità diventano sempre più importanti. Gruppi di apprendimento in isolamento fiduciario, classi in quarantena, positività fra il personale della scuola e gli studenti. Le procedure sono complicate, la burocrazia sovrasta la didattica e i docenti vivono il proprio ruolo come se fosse, in un certo senso, snaturato. Da un lato resta la parte dedicata all’insegnamento, dall’altra quella risucchiata nel vortice delle pratiche sanitarie e di prevenzione.
In mezzo ci sono i nostri ragazzi. Su di loro è stato detto tanto, a partire dai tempi della didattica online.

Li abbiamo sollecitati, perché non erano abbastanza attivi con l’insegnamento a distanza. Li abbiamo elogiati, perché rispettosi delle dure regole del lockdown più degli anziani. Poi, nelle ultime settimane, in varie occasioni li abbiamo apostrofati come “untori” e “irresponsabili”.
Alcuni di loro sono stati un po’ scellerati – è vero-, hanno frequentato discoteche e si sono “assembrati”. Ma non tutti! Molti hanno continuato a comportarsi responsabilmente e nel pieno rispetto degli altri.
E poi, certo, il fascino dell’aggregazione da cortile e da baretto davanti al liceo ha fatto la sua parte. Ma la fotografia scattata ai nostri adolescenti non rende loro giustizia: è parziale ed è il risultato di uno sguardo gettato d’insieme frettolosamente.

A settembre il rientro a scuola non è stato affatto facile. Per qualcuno di loro è stato complicato anche uscire dalla propria stanza. Quelli che tendevano al ritiro sociale, o all’individualismo spinto, sono regrediti durante la quarantena dello scorso inverno.
C’è stato l’impatto emotivo forte di ritrovare compagni e anche insegnanti, l’illusione di tornare alla “vecchia” vita e alle “vecchie” abitudini subito infranta dai nuovi protocolli.
Gli edifici scolastici si sono mostrati profondamente cambiati negli arredi, negli assetti e soprattutto nell’organizzazione. Indossare la mascherina chirurgica per fare una passeggiata fuori era stato sperimentato, ma tenerla inchiodata al viso per diverse lunghe ore è stato ben diverso. Anche il distanziamento imposto nelle aule ha modificato il modo di trascorrere il tempo in classe. Sono sparite completamente anche le pratiche “solidali” (chiamiamole bonariamente così): come l’aiutarsi durante le verifiche, o il suggerirsi qualche risposta. In effetti, si tratta di abitudini da stigmatizzare, ma fra gli studenti esse regolavano un clima di supporto reciproco e di rassicurazione anche quando poi l’aiuto non riusciva ad arrivare davvero. Di fatto sono cresciuti momenti di ansia fra le fila dei banchi, dovuti al momento storico e certamente non solo al nuovo allestimento degli spazi.
Abbiamo iniziato, quasi subito per la verità, lo stillicidio dei “positivi” o dei “casi sospetti”. Anche questa fase è stata nuova. In certi casi ha rischiato di trasformarsi in una sorta di “caccia” all’infetto.

Insomma, forse abbiamo imparato più in questo mese di scuola “ai tempi del colera” che in anni interi del recente passato.
Se dobbiamo essere sinceri, la DaD non ha dato grandi frutti. Gli studenti sono tornati con grandi lacune e amnesie da lockdown. La DaD ha reso la vita facile ai “copioni” professionisti e ha messo in scacco soprattutto gli “storditi tecnologici”.
C’è però da sottolineare una cosa: l’ordine e il senso di responsabilità all’interno delle aule è cresciuto notevolmente. Anche le tanto vituperate “sedute innovative”, altrimenti dette “banchi con le rotelle” sono state utilizzate senza abusi: corse di bighe nei corridoi non ce ne sono state.
Quello che preoccupa, ora, è la strada che prenderemo a causa del riaccendersi della pandemia.
Non dimentichiamo che i giovani hanno bisogno di andare a scuola e incontrarsi e che bisogna tenere alta la guardia sui danni relazionali e psicologici che questo virus sta silenziosamente procurando alle giovani generazioni.

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Fonte: Sir