Pregare oggi. Alcuni libri ci fanno riflettere in profondità sulla necessità di raccoglierci in preghiera, dovunque ci troviamo

Un uomo, quello del nostro oggi trascinato da una fretta insensata, la stessa di cui parlava poeticamente Michel Quoist

Pregare oggi. Alcuni libri ci fanno riflettere in profondità sulla necessità di raccoglierci in preghiera, dovunque ci troviamo

L’invito di Francesco ad attraversare in preghiera quest’anno in cui guerre e massacri stanno lì a testimoniare la sopravvivenza della belva umana, tocca corde profonde e lontane. Non solo perché quelle radici sono già nei Vangeli, ma perché continuano ad alimentare la spirito di pace e di amore nei secoli.

Ma l’uomo di oggi, quello che si sente assediato dalle notizie di stragi e bombardamenti sui civili, e messo in angustie dalla preoccupazione sul futuro -e sull’oggi- dei figli o del suo lavoro in una ditta in odore di fallimento, o da notizie infauste in ambito medico? Quello stesso uomo che non riesce a trovare il tempo della chiesa, o della comunità, o della confessione?  Un uomo, quello del nostro oggi trascinato da una fretta insensata, la stessa di cui parlava poeticamente Michel Quoist nella sue -guarda caso- Preghiere: “Non posso riflettere, leggere, sono sovraccarico, non ho il tempo./ Vorrei pregare, ma non ho il tempo”.

Quella mancanza di tempo per la preghiera ci deve far riflettere: qualcuno ha lasciato casa e sostanze per tornare alla preghiera del cuore, in mezzo alla natura, prima in solitudine e poi in comunità (un passaggio peraltro non privo di conflitto e di crisi), come san Benedetto e san Francesco, e sono solo due nomi tra i tanti. Perché quella mancanza di tempo deve aiutarci alla ricerca, direbbe Proust, di un tempo perduto che diviene nuovo tempo. Se si ha famiglia, e lavoro, e non si può abbandonare ciò che si è costruito, fatto di bisogni e di affetti, allora si dovrebbe ricordare il Matteo (6,7) di “pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole”.

Non è una accusa contro le parole, ma un invito alla riflessione sul tesoro delle parole, che è cosa assai diversa: non sprecarle per futilità o unicamente per assolvere all’impegno propostosi di recitare orazioni che richiedono una lunga pausa. Chi invece ha perso la preghiera e desidera ricominciare, ha la possibilità di farlo nell’interiorità, magari in auto, mentre sta attendendo un familiare, entrando in una cappella sperduta nella città tentacolare o in una campagna, in qualsiasi altro momento della giornata, o della notte, prima di abbandonarsi al sonno ristoratore.

Con la preghiera del cuore, ad esempio, di cui si parla in modo approfondito in un libro di pochi anni fa e che torna di grande attualità con l’invito del Papa alla “grande sinfonia della preghiera”, “La preghiera del cuore”, a cura di Giuseppe Ferro Garei e con la prefazione di mons. Corrado Lorefice, edito da Lindau: qui si mette ben in evidenza come il ritorno alla preghiera può avvenire nei luoghi più svariati, attraverso la crisi di un attimo, la sensazione di separazione e di solitudine: la cosiddetta Preghiera di Gesù, soprattutto se associata alla respirazione, aiuta in questo cammino di ritorno a qualcosa che si è perduto ma di cui si sente la mancanza.

Il deserto non è solo quello dell’Egitto, ma quello della separazione, della sensazione di solitudine e di mancanza di senso: quello di noi tutti nell’attraversamento del nostro oggi. Come mette bene in evidenza Agostino Ziino, monaco e curatore degli scritti di don Divo Barsotti, esiste anche una “cella interiore”, quella del nostro cuore, soprattutto nei momenti di crisi, in cui si fa esperienza di una antica e nuova relazione di fiducia e tenerezza con chi pensavamo ci avesse abbandonato. Una relazione in cui, come scriveva Barsotti, non siamo noi a scegliere i santi, ma loro a scegliere noi.

Preghiera come speranza nella quotidianità e nei salati conti con il nostro oggi.

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Fonte: Sir