Tanta strada da fare… La vita non è una festa patinata a cinque stelle e neppure una competizione numerica

Lo scollamento tra didattica e interessi degli studenti pare sempre più evidente, come pure il divario fra i linguaggi, i valori e i codici di riferimento.

Tanta strada da fare… La vita non è una festa patinata a cinque stelle e neppure una competizione numerica

Sarà spensierata l’estate dei nostri adolescenti? “All’apparir del vero”, con la pubblicazione ormai imminente degli esiti dell’anno scolastico lo sapremo. A decretarlo sarà l’eventuale assenza di numerini in rosso all’interno delle caselle di valutazione del registro elettronico.
Per alcuni dei nostri ragazzi, quelli che non sono riusciti a recuperare i “rossi” neppure nelle ultime settimane, i prossimi mesi dovranno essere dedicati allo studio e all’approfondimento delle materie risultate insufficienti.
Altri ancora, ahimè!, vivranno l’esperienza della bocciatura, che non dovrebbe avere il “sapore” mortificante della punizione, ma essere percepita come una “seconda possibilità” di maturare.
Per i più grandi inizieranno i giorni di preparazione all’Esame di Stato che si aprirà con la sua solenne liturgia la prossima settimana con la prova di italiano nelle scuole secondarie di primo grado e il prossimo 21 giugno nelle secondarie di secondo grado.
L’edizione “Maturità 2023” sancisce un pieno ritorno alla versione “originale” ante-Covid e coinvolgerà circa 536.000 studenti. Nella scuola secondaria di primo grado gli alunni torneranno a cimentarsi anche nelle prove scritte di lingua straniera. Seguiranno i colloqui orali sulle discipline curriculari tesi ad approfondire le competenze e, nel caso dei maturandi, anche le esperienze di PCTO.
Nelle ultime settimane di maggio non sono mancate le polemiche sui criteri di valutazione (troppo sommativi e poco formativi), sulla pratica dell’assegnazione dei compiti a casa e sul sistema di insegnamento ancora troppo improntato al nozionismo.
Forti momenti di tensione hanno fatto emergere lacune nell’organizzazione scolastica, che annega nelle procedure burocratiche e annaspa nella gestione delle classi.
Lo scollamento tra didattica e interessi degli studenti pare sempre più evidente, come pure il divario fra i linguaggi, i valori e i codici di riferimento. Da un lato ecco la scuola con i suoi mezzi di fortuna, in balia della crisi e dei cortocircuiti che investono l’intera società. Dall’altro i ragazzi, sempre più sfiduciati e vittime di un mondo orientato a testarne le performance e a trasformarli in ottusi consumatori.
E l’educazione quanto spazio ha in questo orizzonte?
Oltre all’esame di maturità l’ingresso nel mondo degli adulti dei nostri giovani è segnato da un altro rito di passaggio: il compimento della maggiore età. Quanto rilievo viene attribuito a questo momento, al di là delle costosissime celebrazioni di diciottesimo? I vestiti eleganti, il divertimento, l’organizzazione dell’evento, i regali… Tutto assume sempre più il profilo di un business. E poi? Diventare maggiorenni è solamente una festa? Quale posto occupa la riflessione, la maturazione del senso di responsabilità nella transizione verso la maggiore età?
Quest’ultimo è un aspetto che i nostri giovani mostrano di aver approfondito pochissimo e certamente non soltanto per loro negligenza.
Le famiglie oggi, forse per eccesso di protezione e paura del futuro, tendono a deresponsabilizzare, giustificare i propri figli.
Così mentre la scuola si irrigidisce e “misura”, la famiglia “protegge” e “premia”, spesso esaltando gratificazioni effimere.
Il dialogo fra le due realtà langue, soprattutto perché a languire sono gli argomenti di confronto, che andrebbero costruiti e maturati assieme.
La vita non è una festa patinata a cinque stelle e neppure una competizione numerica. Bisognerebbe non trascurare l’educazione all’affettività e la cura della sfera emotiva, tentando il rovesciamento degli “pseudo valori” di una società dei consumi sempre più improntata al cinismo e all’individualismo.
La solidarietà, il sostegno fra pari è la reale via all’inclusione, all’accettazione e alla valorizzazione delle fragilità proprie e altrui.
Educare dovrebbe significare anche aprirsi e conoscere il proprio territorio, rispecchiarsi nelle vite degli altri.
In questo senso c’è ancora tanta strada da fare, nel frattempo il rischio è perdere di vista la piega che sta prendendo la nostra società.

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Fonte: Sir