Andrea Munari ha vinto il virus. La fede e la famiglia lo hanno sostenuto nella battaglia

La notizia più bella è arrivata giovedì 12 marzo, attraverso una non-telefonata. Nella sua casa di Vo’, Andrea Munari ha attraversato la festa del papà con il pensiero alla figlia in Puglia e l’orecchio teso al telefono. Ma dalle strutture dell’Ulss 6 nessuno ha composto il suo numero e così è stato certo: anche la battaglia Covid-19 era vinta.

Andrea Munari ha vinto il virus. La fede e la famiglia lo hanno sostenuto nella battaglia

Una liberazione, certo. Dopo che i sanitari gli avevano comunicato che il suo tampone era risultato positivo in un altro giovedì, quello grasso (20 febbraio), all’indomani della tradizionale “frittellata” che da anni Munari e una serie di amici preparano per il centro anziani di Vo’. Eppure Andrea aveva preso tutto questo come un nuovo capitolo della saga che è iniziata nel lontano 2002 e ha cambiato per sempre la sua vita. Così alla scoperta di essere positivo al Coronavirus non c’è stata nessuna manifestazione di panico, nessuna psicosi. Esattamente come diciotto anni fa, quando gli hanno diagnosticato una leucemia mieloide acuta, si è aggrappato alla fede e alla famiglia.

Una speranza tanto radicata quanto espressa con parole semplici e dirette, rivolte anzitutto alla sua comunità che allora era appena entrata nella quarantena stretta dopo essere diventata paese simbolo del contagio: «Mi sono collegato a Facebook – racconta Andrea – e ho scritto a chiare lettere: “Non mi faccio mancare niente, sono positivo. Ma come ho avuto fiducia cieca nel sistema sanitario ai tempi della leucemia, così ce l’ho ora. Anzi, ancora di più”».

A “vaccinare” Munari all’approccio con Covid 19 è stata proprio la leucemia che, quando aveva 40 anni, lo ha portato al trapianto di midollo. «Probabilmente è stata proprio quella malattia ormai lontana a facilitare il contagio per me, ma mi ha anche aiutato ad affrontare con leggerezza questa quarantena. All’epoca il mio sistema immunitario era ridotto al minimo, a causa della chemio ero in balìa di tutti i patogeni. Ricordo i lunghi mesi di isolamento in ospedale, in una camera sterile. La mascherina per me è diventata in qualche modo la normalità».

A distanza di lungo tempo, l’epidemia in corso ha stravolto una quotidianità mattutina fatta di due passi in centro paese, giornale e caffè alla Locanda al sole, il bar divenuto tristemente famoso per essere il ritrovo in cui Adriano Trevisan, la prima vittima italiana del contagio, e Renato Turetta, che si è spento due settimana fa, si davano appuntamento per battere il fante. Andrea Munari è stato individuato tra i positivi durante la campagna di test a tappeto che ha coinvolto tutta la popolazione del comune euganeo e che ha permesso di isolare i positivi asintomatici, come lui, e molto probabilmente è stata proprio la frequentazione del locale a infettarlo.

«In tutti questi giorni sono stato bene, non ho avuto nessun disturbo, se non lieve – racconta ancora – Mi sono sottoposto più volte al tampone, anche per lo studio epidemiologico che il docente di microbiologia Andrea Crisanti sta conducendo per la Regione Veneto. La malattia quindi mi ha riservato un facile decorso e si è conclusa, ma non tutti gli aspetti di questa vicenda per quanto riguarda la nostra famiglia sono ancora chiari». A suscitare lo stupore dei medici che seguono la famiglia Munari da lungo tempo, è il fatto che la moglie di Andrea, Rossella, affetta fin dalla giovane età da sclerosi multipla, abbia avuto esiti sempre negativi ai test. «Il nostro centro di riferimento a Bologna ci ha già fatto sapere che vuole vederci chiaro. Secondo gli studi in loro possesso, la malattia neurodegenerativa avrebbe dovuto semmai rendere mia moglie più vulnerabile al virus. E invece, nonostante in queste settimane abbiamo fatto una vita assolutamente normale, i test a cui è stata sottoposta hanno dato sempre esito negativo».

Ciò che invece si è radicalmente trasformato rispetto a prima, secondo Andrea, è l’approccio alla vita di Vo’ e dei suoi abitanti. «Si è trattato di uno scossone forte nell’interiorità stessa delle persone. Credo che mai avremmo immaginato di dover attraversare tutto questo, ma ora l’approccio egoistico e frenetico alla vita, tutto proteso a fare e realizzare progetti per noi e per le nostre famiglie, ha lasciato spazio all’attenzione per l’altro, alla parola scambiata da un terrazzo all’altro: alla condivisione».

Munari ripensa ai gesti di solidarietà che si è visto rivolgere, inattesi. Dai gesti di generosità di un concittadino che l’8 marzo ha donato un ramoscello di mimosa a tutte le donne, all’azienda veronese che ha inviato una bottiglia di vino e una porzione di prosciutto a tutte le famiglie. Ma i gesti che più toccano sono quelli dei vicini, che hanno più volte portato la spesa a lui e alla moglie, facilitando molto una routine che fa i conti tutti i giorni con la sedia a rotelle. Una sorta di frutto raccolto dopo tanta semina. La solidarietà infatti fa parte del Dna di Andrea Munari, nelle mille espressioni che la vita di paese consente. La voglia di tornare alla normalità passa anche per gli appuntamenti della parrocchia, che da sempre frequenta, e dalle riunioni del consiglio pastorale, di cui fa parte.

Un velo di malinconia c’è, è vero, per l’azienda agricola con agriturismo che anni fa ha chiuso i battenti. Oggi si sbarca il lunario con la pensione minima di invalidità sommata a quella della moglie, ma a mitigare i cattivi pensieri c’è il sapore dolce dell’amicizia che ha la capacità di dare vita all’incredibile. «Il pellegrinaggio che abbiamo fatto in camper fino a Lourdes otto anni fa rimarrà per sempre nella memoria – si illumina Andrea – Il desiderio io e Rossella ce l’avevamo nel cuore, ma ci rendevamo conto che la sclerosi multipla non consentiva né il treno né l’aereo. È stato parlandone con il parroco di allora, don Leopoldo Zanon, che ci è venuta l’idea di noleggiare due camper e partire. Alla fine abbiamo partecipato in dieci ed è stato fantastico, si è creato un gruppo che ancora oggi si ritrova e festeggia due o tre volte l’anno»

E adesso, il pensiero è per la figlia Elisa, 26 anni e una laurea all’Accademia di Venezia, che da tempo vive in una delle regioni ancora risparmiate dal virus. La speranza è che la Puglia sappia far tesoro di quanto sta accadendo al Nord e possa reggere l’urto del contagio. Sempre con la mente alle cose che contano davvero, quelle che danno senso alla vita e che apprezzi quando sei rinato, com’è capitato ad Andrea diciotto anni fa.

Gli 83 casi di Coronavirus a Vo'

Sono 83 (al momento di andare in stampa) i casi di positività a Coronavirus registrati nel comune euganeo classificato come cluster della pandemia. Un migliaio i contagi in provincia di Padova, la più colpita del Veneto.

Il caso

Terminata la quarantena stretta a cui è stata sottoposta Vo', per alcuni giorni non si sono più verificati casi di nuovi affetti fino a giovedì 19 marzo.
La ricomparsa della malattia (tampone positivo per un concittadino) secondo Andrea Crisanti, docente di microbiologia che sta eseguendo uno studio epidemiologico su tutta la popolazione, si deve ai troppi contatti che ancora la settimana scorsa si verificavano tra individui.
Tutta da valutare la nuova stretta voluta dal governo con il decreto firmato domenica 22.

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