Coronavirus. Ornella Favero, Conferenza volontariato e giustizia: "In cella come topi in gabbia. Le misure del decreto sono inadeguate"

Alla luce del decreto del Governo "Cura Italia" già in vigore, le misure introdotte per contenere il contagio fuori dalle carceri italiane sono del «tutto inadeguate» come denuncia Ornella Favero, presidente della Conferenza nazionale volontariato e giustizia.

E intanto, fuori dal circondariale e dalla casa di reclusione Due Palazzi il triage nella tenda della Protezione civile non viene effettuato né per i nuovi arrestati né per tutto il personale interno alle strutture detentive.

Coronavirus. Ornella Favero, Conferenza volontariato e giustizia: "In cella come topi in gabbia. Le misure del decreto sono inadeguate"

Adesso è solo una corsa sfrenata contro il tempo. La preoccupazione sta raggiungendo il picco più alto, se non lo è già. Bisogna fare prestissimo prima che l’epidemia s’infiltri dentro agli istituti di pena, causando problemi sanitari e di sicurezza sociale mastodontici per il Paese.
Quando viene raggiunta al telefono Ornella Favero, presidente della Conferenza nazionale volontariato e giustizia e direttore della rivista Ristretti orizzonti della casa di reclusione Due Palazzi, ha appena concluso una riunione a distanza con i rappresentati del volontariato carcerario di ogni parte d’Italia e si è sentita personalmente anche con alcuni magistrati di sorveglianza per commentare insieme le nuove misure per la popolazione detenuta introdotte dal decreto “Cura Italia” firmato soltanto poche ore fa dal presidente della Repubblica Mattarella e già in vigore.

«I provvedimenti risultano del tutto inadeguati – spiega la presidente di Volontariato e giustizia – servono a poco per ripristinare l’ordine e la sicurezza sanitaria dentro alle carceri ormai vicine al collasso. L’introduzione del braccialetto elettronico per la detenzione domiciliare per chi ha una pena inferiore ai 18 mesi da scontare è un’assurdità perché rallenta il sistema, lo appesantisce ulteriormente di nuove procedure quando le forze si devono concentrare su ben altro. Non sappiamo neppure se ci siano dispositivi per tutti… A cosa serve tutto questo? Stiamo parlando di persone con una pena ormai risicata da scontare che in pratica hanno già chiuso il proprio debito con la giustizia».

Su una popolazione ristretta di 61 mila persone a fronte di 50 mila posti a disposizione, quanto stabilito dal Governo andrà effettivamente ad alleggerire il sovraffollamento che non consente attualmente, in molti casi come al circondariale Due Palazzi, la distanza minima di un metro dentro alle celle?
«Assolutamente no. Questa misura blanda non inciderà sufficientemente sul problema del sovraffollamento perché, con tutte le limitazioni che hanno imposto, non sono così numerosi coloro a cui resta da scontare meno di 18 mesi».
A Padova, fuori dal carcere circondariale e dalla casa di reclusione, le tende della protezione civile sono state montate la scorsa settimana: sono vuote, senza strumenti e personale. Il triage non è ancora attivo per i nuovi arrestati che giungono al circondariale e per tutti coloro che entrano per motivi di lavoro all’interno di entrambi gli istituti.
«Mi è incomprensibile perché un servizio così banale, ma essenziale per respingere il contagio non sia ancora stato attivato: bisognerebbe chiederlo al dottor Felice Nava (responsabile dell’unità operativa sanità penitenziaria e area dipendenze dell’Azienda Ulss 6 Euganea, ndr), al Provveditorato e alle direzioni delle carceri. Il provveditore della Lombardia Pietro Buffa mi confermava proprio poco fa al telefono che in tutta la regione il triage obbligatorio davanti agli istituti di pena è già partito nelle scorse settimane. In alcuni penitenziari i detenuti stanno iniziando a produrre le mascherine...».
Come avete deciso di procedere come coordinamento nazionale?
«Stiamo scrivendo ora una lettera aperta al ministro della sanità Speranza perché, se il Ministero della giustizia non comprende la gravità del momento, è bene che anche quello della sanità si renda conto di cosa stiamo rischiando: se l’epidemia si diffondesse dentro alle carceri, le persone detenute sarebbero le ennesime a riversarsi dentro al sistema sanitario nazionale con tutti i problemi correlati».
Come si sentono le persone dentro alle carceri?
«Topi in gabbia. Inviterei ognuno a immaginare di essere chiuso con una minaccia che incombe sulla testa ed essere intrappolato vivo, senza vedere applicate misure concrete che tutelino la sicurezza di tutti, a partire dalle mascherine e dai gel igienizzanti che scarseggiano fino alla mancanza del metro di "distanziamento sociale" impossibile da applicare nei casi di sovraffollamento».

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